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Viaggio-inchiesta nella sanità Prof. Marco Gobbi: si vince puntando su medici di base, rapporto col territorio e prevenzione

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Prof.Marco Gobbi

Ho conosciuto il professor Marco Gobbi ormai 10 anni fa, in occasione di cure preventive che ho dovuto praticare alla Clinica universitaria del San Martino di Genova, di cui era primario. Mi avevano parlato di lui, a ragione, come di un luminare, ma mi ha anche conquistato l’approccio umano di enorme sensibilità e disponibilità, oltre alla grande simpatia che emana. Un onore, per me, quella che nel tempo è diventata un’amicizia: come non potevo chiedergli il suo punto di vista, sulla pandemia? Professore Emerito di Ematologia dell’Università di Genova, Marco Gobbi è originario di Rimini: vive prevalentemente a Genova e in parte a Rimini e in Salento.

L’Emilia Romagna è stata la seconda regione, dopo la Lombardia, a essere fortemente colpita dalla pandemia: come ha reagito? I focolai sviluppati in regione al confine nord e ed al confine sud, con ampia zona inizialmente a basso impatto (eccezion fatta per l’area del comune di Medicina) ad essi interposta, devono la loro localizzazione alla vicinanza (nord) coi focolai principali della Lombardia ed alla intensa attività fieristica internazionale della zona sud, nel periodo di arrivo dell’infezione in Italia. La specifica localizzazione, ha consentito di mettere in atto misure anche piuttosto drastiche di contenimento (soprattutto nella zona sud), con l’imposizione di un isolamento sociale piuttosto precoce rispetto ad altri territori, sia confinanti (come, ad es. le Marche), sia nazionali.

Com’è stata affrontata la pandemia a Rimini?

Con grande senso civico, l’amministrazione comunale, di concerto con la Regione e la Prefettura, ha immediatamente messo in atto ogni misura possibile per contenere la diffusione del virus. È stato attuato una sorta di prototipo di quello che sarebbe poi diventato il “lockdown” nazionale. I Riminesi ricorderanno per anni la chiusura repentina delle attività commerciali (tranne alimentari e farmacie), i divieti di accesso a spiagge e parchi, le ronde continue di veicoli di tutte le strutture di pubblica sicurezza, i numerosissimi posti di blocco, i veicoli con altoparlanti che, di giorno e di notte, proclamavano la necessità di restare a casa ed evitare ogni assembramento. Con altrettanta prontezza, L’AUSL Romagna, distretto di Rimini, ha allestito, nell’arco di pochissimi giorni dalla presa d’atto della presenza del focolaio, presso l’ospedale Infermi, una “Divisione Covid” riorganizzando 2 piani/reparto del DEA, e 3 piani/reparto presso la Medicina interna (1 e 2) e l’Ortopedia nel corpo centrale dell’Ospedale, arrivando ad accogliere fino a 270 pazienti, sottoposti a terapia intensiva o subintensiva, anche mediante protocolli di cura farmacologica che, seguendo le migliori indicazioni della “Medicina di precisione”, sono stati adattati al singolo paziente ed impiegando principi attivi innovativi. Le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA), definite dal DPCM del 22 marzo, grazie all’azione del Dipartimento di Cure Primarie, sono diventate operative, addestrate ed equipaggiate, basandosi su medici volontari, già dal 27, quindi molti malati sono rimasti a casa, curati adeguatamente e assistiti giornalmente.

In Italia si è agito in maniera tempestiva per contenere la diffusione del contagio?

Nei limiti del possibile e pur nella incertezza sulla non conoscenza del patogeno, si. Si sono commessi certamente errori, come ad esempio utilizzare le residenze per anziani per aiutare gli ospedali, senza sapere esattamente la situazione di chi veniva trasferito, senza prevedere una separazione assoluta dei reparti e senza provvedere il personale dei dispositivi di protezione (DPI). Molte RSA si sono blindate alla fine di febbraio e non hanno avuto problemi. Poi vi è un atteggiamento psicologico per cui, nonostante il problema si presentasse gravissimo in Cina, era percepito come una cosa troppo lontana per procurare pericolo a noi in Occidente. Il 25 febbraio dovevamo fare una cena con i compagni del liceo a Rimini; il 22 li ho convinti che non era il caso, pensavano ad una esagerazione. Io mi aspettavo non tanti morti, ma sicuramente una rapidissima diffusione del contagio.

Quali le maggiori criticità nella risposta all’emergenza da Covid-19?

La mancanza di adeguate informazioni sull’agente causale (e dunque comportamenti sociali parimenti adeguati – si veda ad esempio la festa del Carnevale a Fano il 23 febbraio, con 60.000 presenti), una non adeguata (ed omogenea) organizzazione della Medicina sul territorio, il rapporto tra strutture sanitarie pubbliche e private.

Si potevano evitare le morti di medici e operatori socio-sanitari?

Oltre agli aspetti del punto precedente, nel nostro Paese si è evidenziata la più assoluta carenza di adeguati DPI (in particolare, mascherine FFP3, le uniche con caratteristiche filtranti adeguate per agenti patogeni di tipo virale). Questo ha costretto, nelle fasi iniziali della diffusione del contagio, i sanitari a lavorare allo sbaraglio, contagiandosi e divenendo essi stessi fonti di contagio. Sicuramente si dovevano evitare i contagi del personale sanitario avvenuti dopo la metà di marzo.

Ci avviamo verso la fase 2: sarà sufficiente mantenere precauzioni come il distanziamento, l’uso di mascherine e guanti per scongiurare di riaccendere focolai di contagio?

In linea teorica, in base a quanto vissuto, in fase 2, nella migliore gestione di questa, si potrebbe dire di si. Tuttavia, la riapertura delle attività può non consentire concretamente il rispetto rigoroso di questi atteggiamenti. La fase 2 potrà essere affrontata con efficacia e relativa serenità, unicamente potendo combinare quanto sopra con: 1) adeguata diffusione dei test sierologici, da interfacciare con 2) pari ampia disponibilità di tamponi ad esito rapido per completare i dati dei test sierologici e infine, 3) stabilire la dinamica delle eventuali reinfezioni di guariti o apparenti “immuni”, mediante la tracciatura individuale. Ogni applicazione parziale di tale complesso protocollo, rischia di compromettere la solidità del sistema di protezione della collettività. È fondamentale l’immediato isolamento di qualsiasi piccolo focolaio. Abbiamo capito che la rapidità dell’azione, è una condizione indispensabile, così come il comportamento responsabile di tutti.

Il virus potrebbe essere sconfitto o dovremo imparare a conviverci a lungo?

La convivenza dipenderà dai tempi che si renderanno necessari per realizzare un (o più: non sappiamo ancora esattamente quale sia la carta di identità del nostro nemico) vaccino realmente sicuro ed efficace. È difficile che scompaia, pertanto una profonda modificazione dei comportamenti è indispensabile. Come con la poliomielite, la vaccinazione a tappeto di tutti i soggetti ha fatto scomparire la malattia, che tuttavia tende a ricomparire la dove le guerre rendono impossibile una adeguata campagna vaccinale, vedi certe zone della Siria.

Cosa serve al sistema sanitario nazionale per diventare più efficiente?

Innanzitutto, la sanità territoriale ha dimostrato da un lato tutta la sua importanza, ma dall’altro, soprattutto in certe regioni, anche tutta la sua debolezza. I medici di Medicina generale, dovrebbero poter essere inquadrati pienamente come parte della struttura sanitaria territoriale. Attualmente, la loro posizione è un ibrido, tra il professionista autonomo ed il dipendente delle aziende sanitarie. Questo, ancora come in Lombardia e a differenza dal Veneto, ha avuto delle conseguenze catastrofiche. Si è inoltre perso, in quanto costosissimo e apparentemente inutile, il concetto di una “medicina di mobilitazione”, che possa andare oltre alla lodevolissima componente medica della Protezione civile. Medicina (intesa come personale, dotazioni, protocolli) quiescente, ma di pronta disponibilità. Come i riservisti dell’Esercito americano.

La sanità, alle regioni o allo Stato?

La sanità deve rimanere alle regioni per quanto attiene l’organizzazione territoriale ed ospedaliera. Ma lo Stato deve poter entrare maggiormente nelle indicazioni strategiche sulle quali le regioni basano le proprie politiche sanitarie. Insomma dovremmo evitare di avere tanti sistemi sanitari quante sono le regioni e le provincie autonome, come succede ora.

Che lezione ci sta dando il virus?

In particolare due: la prima è che nel mondo moderno, non ci sono luoghi lontani. Ci siamo salvati finora da Ebola perché è comparso in aree dell’Africa praticamente inaccessibili, quindi la nostra “libertà”, deve tenere conto di regole stringenti. Una fra tutte: le grandi zone selvagge debbono essere salvaguardate, tra le altre cose sono dei serbatoi di virus sconosciuti, che potrebbero provocare altre e peggiori pandemie. La seconda lezione è che, nonostante tutto, il nostro Servizio sanitario nazionale, è un bene inestimabile che dobbiamo preservare e sviluppare.

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Aleandro Longhi (Comitato SAT) sull’emergenza acqua:”Le finanze dell’Alto Calore sono al disastro”

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Il Consiglio del Distretto Irpino dell’Ente Idrico Campano ha approvato l’aumento delle tariffe dell’acqua del 30%. Il sindaco di Ariano Irpino Enrico Franza non figura tra i sindaci contrari, né tra quelli astenuti. Possiamo pertanto dedurne che il sindaco di Ariano fosse tra gli assenti o i favorevoli, in ogni caso ha deciso che i cittadini arianesi debbono pagare i 30% in più quell’acqua che l’Alto Calore eroga a singhiozzo. Franza, così loquace quando vuole, si è “dimenticato” di informare gli Arianesi che avranno un nuovo balzello del 30% sull’acqua, che continueranno a ricevere a singhiozzo. Per correttezza bisogna dire che, sia che i sindaci abbiano votato a favore che contro, sia che abbiano partecipato al voto o che si siano astenuti, non cambia nulla: il vero problema è che le finanze dell’Alto Calore sono al disastro. Nelle città civili, i primi servizi che un sindaco dovrebbe assicurare sono: l’acqua pubblica, il sistema fognario, la depurazione delle acque, ovvero tutto quello che non è stato fatto ad Ariano. Si grida contro l’Alto Calore Servizi SpA, su cui si scaricano le responsabilità, dimenticandosi del passato e persino del presente. Gli azionisti, quindi i padroni dell’Alto Calore, sono gli enti locali, ovvero la maggior parte dei Comuni irpini e del Sannio, che oltre a detenere le azioni dell’Alto Calore, sono i proprietari dei tubi marci che dovrebbero portare acqua nelle case. I vecchi tubi sono di piombo, di ghisa, di eternit e non sono mai stati cambiati, ma soltanto rappezzati. I grandi tubi delle condotte principali sono invece di proprietà della Regione Campania attraverso l’Ente Idrico Campano: l’Alto Calore è soltanto il gestore pieno di debiti che vengono dal passato, e forse anche dal presente. Quanti sindaci avranno chiesto a quell’ente, l’assunzione clientelare di qualche parente, amico o semplice elettore? È giunta l’ora di rimboccarsi le maniche ed attuare un risanamento dell’Alto Calore e l’attuale Amministratore Unico sembra ci voglia provare. I sindaci sono i principali responsabili della mancanza d’acqua nelle case degli Irpini, nonostante l’Irpinia galleggi sull’acqua: persino un regio decreto dell’inizio del Novecento recitava che sindaci erano tenuti a dare acqua “bona” ai propri cittadini. Regione, Ente Idrico Campano, Alto Calore, Comuni e Province, non hanno neanche avuto la dignità di richiedere i fondi del PNRR (miliardi di euro) per il risanamento idrogeologico e per il rifacimento delle reti idriche. Se il Comune di Ariano, che sta spendendo 5 milioni di euro del PNRR per rifare il lastricato di 5 piazze, avesse sostituito km di tubi, sarebbe stato meglio, ma come si sa, i tubi non si “vedono”. Ovviamente anche la Regione Campania dovrà fare la sua parte. L’Amministratore Unico, avv. Antonello Lenzi, ci sta provando con uno degli strumenti a sua disposizione: l’aumento delle tariffe a carico dei cittadini, che dovrebbero pagare anche per il 60-70% di acqua che si disperde dai tubi fatiscenti. Ma c’è un altro strumento: l’aumento di capitale dell’Alto Calore SpA. Si indica un’assemblea straordinaria dei soci (i sindaci azionisti), si faccia partecipare un notaio e si deliberi un aumento di capitale con azioni riservate agli attuali azionisti, per scongiurare che qualche malintenzionato pensi di introdurre qualche grimaldello per far entrare i privati. Certo, i Comuni dovranno pagare, ma di fronte alla prolungata emergenza acqua, si deve attuare una politica di austerità: il denaro si può e si deve trovare! Non è da molto che l’indennità dei sindaci è stata aumentata e con essa, a cascata, quella dei vice sindaci, degli assessori, dei presidenti del Consiglio comunale e dei consiglieri. Per i sindaci che fanno del loro incarico un mestiere (e ciò non è edificante), si potrebbe tornare all’indennità precedente, quelli che invece continuano a svolgere il loro lavoro privato retribuito, potrebbero rinunciare alle loro indennità, così come i consiglieri comunali, al gettone di presenza. Abito ad Ariano Irpino, che dopo Avellino, è il primo azionista dell’Alto Calore e so che il sindaco percepisce un’indennità di 4.140 € mensili in quanto, non avendo un lavoro, non si è messo in aspettativa: perché non rinuncia almeno in parte alla sua indennità e così a seguire, tutti gli altri amministratori? Si facciano meno trasferte inutili a carico dei contribuenti, si disdettino i fitti passivi che i Comuni pagano ai privati, si riscuotano i fitti attivi di immobili, che spesso sono concessi in comodato d’uso gratuito per ragioni clientelari, si mettano in vendita le proprietà immobiliari dei Comuni non utilizzate a fini istituzionali, che potrebbero attivare un circuito virtuoso di investimenti, che creerebbe uno sviluppo economico. Si inizino a tagliare le spese effimere come i vari concerti che si propinano ai cittadini, credendo che si possa sostituire l’acqua con la musica. Si indicano appalti pubblici e si facciano pagare le penali alle imprese che non rispettano i contratti: quando c’è un’emergenza bisogna attuare una politica di austerità. Manca l’acqua nelle case e il Comune di Ariano Irpino ha appena concesso ben 190.000 euro a 14 associazioni: è una mancia elettorale?                                                                                                                                                                             

Di fronte alla mancanza d’acqua, non ci sono scuse: ognuno dovrà fare la propria parte senza gravare ancora una volta sui cittadini. Si sono accorti i sindaci che i loro paesi si stanno spopolando? Se si vogliono rilanciare le zone interne dell’Irpinia non si può prescindere dai servizi essenziali, a partire proprio dall’acqua. Si intende che anche la Regione dovrà fare la propria parte: la sostituzione dei grandi tubi principali che spesso si rompono e dovrà dare un finanziamento straordinario all’Alto Calore.                                                                                           

I sindacati, dal canto loro, non si possono sterilmente abbarbicare nella difesa dei dipendenti dell’Alto Calore: devono promuovere una “VERTENZA ACQUA” per sconfiggere chi vede nella privatizzazione la soluzione di ogni problema. Privato non è sinonimo di efficienza, bensì un ulteriore strumento per sfruttare i lavoratori e spremere i cittadini con alte tariffe per l’acqua.                                                                                                                                                                                    
Aleandro Longhi                                                    Coordinatore Comitato SAT (Salute, Ambiente, Territorio)

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L’acqua non si vende, sit-in a Napoli il 27 agosto per l’acqua pubblica

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Papa Francesco nella Laudato si ci insegna che: “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.” Il surriscaldamento del pianeta sta mettendo a serio rischio il diritto all’acqua a causa dell’abbassamento delle fonti. In Campania, come in tutto il sud Italia, la situazione è sempre più drammatica. Nel momento in cui le interruzioni del servizio idrico sono all’ordine del giorno, ci saremmo aspettati che la politica si impegnasse a garantire il rispetto del referendum del 2011 e tariffe agevolate per l’accesso all’acqua a tutta la popolazione. Ed invece incredibilmente l’Ente idrico Campano si riunisce in piena estate il 27.08.2025 per deliberare:

la privatizzazione dell’acqua nella provincia di Caserta con una gestione mista pubblico/privato;

l’aumento delle tariffe nei 126 comuni delle province di Avellino e Benevento serviti

da Alto Calore servizi.

    La privatizzazione dell’ambito casertano fa parte del più ampio processo di svendita dell’acqua in tutta la Campania a favore di Acea. E inaccettabile che la regione con i bacini più ricchi del sud Italia diventi terra di conquista per le multinazionali che vogliono rivenderci la nostra acqua a peso d’oro. Siamo stanchi di ascoltare dalla politica la stessa favoletta: “non ci sono risorse per gestire l’acqua e per questo è inevitabile il ricorso ai privati”. Ma i soldi per le armi si trovano sempre mentre sono lasciati a secco settori vitali quali la sanità, la scuola ed il risanamento delle reti colabrodo. La risposta alla crisi idrica non è la privatizzazione, come dimostra l’ingresso dei privati in settori quali autostrade, elettricità, gas e telefonia che ha portato soltanto aumenti delle tariffe e disastrose gestioni.

    Dall’altra parte è inaccettabile che a pagare i debiti di Alto Calore siano soltanto le famiglie già alle prese con grosse difficoltà economiche. Per questo chiediamo con forza il rispetto del concordato fallimentare per mettere in sicurezza l’Ente e garantire una gestione pubblica della risorsa, senza un indiscriminato aumento delle tariffe.

    Il Sit-in si terrà il 27.08.2025 alle ore 15 a Napoli in via De Gasperi 28, davanti la sede dell’Ente Idrico Campano

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    La Direzione strategica dell’Asl in visita alle strutture e agli ospedali di Sant’Angelo e Ariano

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    In un clima di grande collaborazione la Direzione Strategica ha avuto un confronto attivo con i direttori delle strutture sanitarie e ospedaliere, i medici e il personale sanitario e amministrativo con l’intento di avviare un dialogo funzionale all’individuazione e risoluzione delle criticità esistenti e al potenziamento dei servizi sanitari al cittadino sia a livello territoriale che ospedaliero. Dopo l’incontro di lunedì scorso con il personale della sede centrale di Avellino, il primo passo della Direzione strategica è stata la visita mercoledì dell’SPS di Bisaccia, del Distretto Sanitario e dell’Ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi, e oggi del Distretto Sanitario e Ospedale di Ariano Irpino per un saluto ai dipendenti.

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