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Emergenza Covid-19 Vittorio Melito:”Ce la faremo ma facciamoci ancora sentire”

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Quando il 30 marzo scorso interruppi per la prima volta il mio ventennale riserbo sui problemi

della Città, preoccupato per la “zona rossa” e la concomitante mancanza degli organi elettivi, tra l’altro scrissi: “Né le difficoltà di esecuzione ed analisi dei tamponi possono giustificare, ad esempio, l’inesistenza di serie indagini epidemiologiche, di sforzi tesi ad individuare soggetti asintomatici potenzialmente contagiosi, di analisi delle probabili occasioni di contagio degli ammalati e della loro articolazione all’interno dello stesso territorio comunale (esteso più dei comuni di Napoli e Salerno, sommati insieme)… la percezione di abbandono persiste…  mi piacerebbe che gli organi di informazione e tutti coloro che hanno quei contatti diretti con la popolazione che io non ho più, sollecitassero gli arianesi tutti a far giungere – tramite i social o in qualsiasi altro modo lecito – la propria voce al Presidente della Regione ed al Direttore Generale della ASL di Avellino, chiedendo di non vedere più in Ariano soltanto un pericolo da circoscrivere ma una comunità che ha diritto alla salute ed alla quale serve a tale scopo un’attenzione peculiare e prioritaria. Facciamoci sentire!” Mi accorgo che non è cambiato molto; oggi siamo in ansia come il giorno della forzatura del pronto soccorso dell’ospedale, con l’aggravante dei due mesi trascorsi sostanzialmente invano.

Ma se due mesi fa erano comprensibili difficoltà ed impreparazione rispetto ad un fenomeno tanto grave quanto sconosciuto, a distanza di tempo bisognerebbe aver fatto tesoro di qualche esperienza. Invece, ancora oggi più tamponi si analizzano e più casi di contagio si scoprono; ciò vuol dire che i focolai sono ancora attivi, chi si ammala oggi è venuto in contatto con il virus da meno di due settimane (secondo quel che si sostiene comunemente circa i tempi di incubazione e che si pratica per l’isolamento). E’ inevitabile pensare che non sono stati fatti i conti con la gravità della zona rossa e che si è pensato che bastasse individuare i contatti stretti delle ultime 48 ore prima dell’accertamento del contagio, senza neanche poi verificare se fossero a loro volta infetti. Non c’è stata una seria azione di tracciamento e mappatura.

Ancora adesso, nonostante due mesi di rigoroso rispetto delle misure di distanziamento sociale, si scoprono persone, più o meno asintomatiche, attualmente malate; non soltanto soggetti venuti in contatto con il virus ed oramai immuni.

Faccio mie tutte le domande rivolte pubblicamente alla Direzione della ASL negli ultimi giorni, in particolare dal Sindaco uscente, Enrico Franza, e dal valente giornalista di Ottopagine, Gianni Vigoroso. Non sto qui a ripeterle.

Mi permetto di ricordare che nella mia lettera del 27 aprile – indirizzata appunto al Direttore Generale e, per conoscenza, al Presidente della Regione, al Prefetto ed al Commissario Straordinario, lettera condivisa da tanti concittadini che ringrazio – si segnalavano le esigenze: di procedere a tamponi di massa, cosa finalmente fatta grazie all’intervento dell’IPZS di Portici che il Presidente della Regione ha incaricato di intervenire, sostanzialmente scavalcando la Asl; di procedere poi a test (validati, ancora non sappiamo quale grado di affidabilità avessero quelli in passato molto pubblicizzati dalla Asl stessa) per comprendere se e quante persone abbiano sviluppato anticorpi; di ripristinare l’ospedale e di avviarne l’adeguamento al rango di DEA di primo livello; di ricollocare l’area Covid, facendone una piccola eccellenza. Non mi sembra che si stia procedendo speditamente in queste direzioni.

Il primario di infettivologia dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, stamattina ha dichiarato: “Quella di Milano è un po’ una bomba, appunto perché in tanti sono stati chiusi in casa con la malattia. Abbiamo un numero altissimo di infettati, che ora tornano in circolazione. È evidente che sono necessari maggiori controlli. Mi chiedo perché da noi ci sia stato un atteggiamento quasi forcaiolo nei confronti dell’uso dei test rapido, il “pungidito”, che poteva comunque essere utile. Si dovevano raggiungere coloro ai quali è stato detto di restare buoni a casa con i sintomi, per avviare il tracciamento dei contatti, e non mi riferisco solo alla Lombardia. Lavorando in quel modo prima avremmo avuto maggiore tranquillità adesso nell’aprire”.

La nostra condizione è completamente equiparabile a quella di Milano e della Lombardia, stante l’incidenza e la persistenza di contagi e mortalità in rapporto alla popolazione. Anche qui abbiamo infettati, finora confinati in casa, che tornano fuori senza che nessuno sia andato da loro a controllare che lo siano e come stanno. Insomma, siamo una piccola bomba, che, proprio perché piccola, si sarebbe potuto disinnescare e che invece è ancora carica.

Come sempre, insisto: ad Ariano occorre un’attenzione superiore a quella rivolta ad altre realtà, i cittadini hanno bisogno di essere rassicurati e ciò è possibile solo a partire da una informazione corretta e completa, cui faccia seguito un’azione finalmente incisiva e finalizzata al recupero della salute pubblica, non ad un attivismo soltanto apparente e di fatto inconcludente.

A proposito di informazione, nelle ultime due sere c’è stato un pasticcio sul numero di tamponi processati dal Biogem: sono stati 603 in totale, con 12 contagi accertati, che, se rapportati soltanto ai 291 residui dopo i 312, tutti negativi, segnalati mercoledì soltanto dalla Asl e non anche dalla Regione, darebbero nella giornata di ieri una percentuale di positivi del 4,12%, tra le più alte di tutta l’Italia.

Se fossimo una squadra di calcio, a questo punto si cambierebbe allenatore.

Il problema non è quello di chiedere adesso le dimissioni o la rimozione di nessuno, ma di esigere una svolta radicale ed immediata nell’azione della ASL, all’insegna della efficienza.

Tutti i cittadini e tutti coloro che hanno ricoperto o intendono aspirare a ricoprire funzioni di rappresentanza devono sollecitare la direzione generale della ASL e la Presidenza della Regione, anzitutto tramite il nostro unico attuale rappresentante istituzionale e cioè il commissario prefettizio, a fare chiarezza su quel che è successo, quello che è stato fatto e che si intende fare. La Regione deve controllare da vicino l’attività sanitaria sul territorio e rapportarsi con la popolazione, non soltanto con la burocrazia.

La peggiore iattura sarebbe adesso una nuova dichiarazione di zona rossa, inutile per contenere il contagio e disastrosa per il morale e l’economia, aggiungendo ulteriori danni ai tanti già arrecati, oltre che dal virus, da una conduzione improvvisata ed approssimativa delle indagini e delle analisi epidemiologiche. Mi ero permesso di suggerire un indennizzo attraverso un serio intervento a favore dell’ospedale, ma chissà?

Sono soltanto un privato libero cittadino, in solitudine non posso chiedere niente, al più fare degli appelli. In questo periodo mi torna in mente che, quando ero sindaco, più di una volta in solitudine chiusi la discarica di Difesa Grande. Soltanto quattro anni dopo che avevo lasciato la carica, la popolazione finalmente si mobilitò davvero e fu la svolta. Adesso non è possibile nessun picchetto stradale o forme analoghe; è possibile soltanto una mobilitazione virtuale, intellettuale: chiediamo in ogni modo che la ASL dia conto alla cittadinanza e che la Regione eserciti la dovuta vigilanza. Chiediamo che il presidente De Luca incontri – anche con collegamento a distanza – una rappresentanza degli eletti, delle associazioni e della comunità tutta, insieme al Commissario ed al Direttore Generale; meglio ancora se venisse a vedere con i suoi occhi che qui c’è una cittadinanza responsabile e lavoratrice, torturata dalla malattia e dall’inefficienza.

Oggi in città il silenzio è impressionante; ogni aspirazione all’ottimismo è svanita dopo le notizie di ieri sera. Ma io dico ai miei concittadini di avere forza e fiducia, ce la faremo. E concludo come la prima volta: facciamoci sentire!

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Aleandro Longhi (Comitato SAT) sull’emergenza acqua:”Le finanze dell’Alto Calore sono al disastro”

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Il Consiglio del Distretto Irpino dell’Ente Idrico Campano ha approvato l’aumento delle tariffe dell’acqua del 30%. Il sindaco di Ariano Irpino Enrico Franza non figura tra i sindaci contrari, né tra quelli astenuti. Possiamo pertanto dedurne che il sindaco di Ariano fosse tra gli assenti o i favorevoli, in ogni caso ha deciso che i cittadini arianesi debbono pagare i 30% in più quell’acqua che l’Alto Calore eroga a singhiozzo. Franza, così loquace quando vuole, si è “dimenticato” di informare gli Arianesi che avranno un nuovo balzello del 30% sull’acqua, che continueranno a ricevere a singhiozzo. Per correttezza bisogna dire che, sia che i sindaci abbiano votato a favore che contro, sia che abbiano partecipato al voto o che si siano astenuti, non cambia nulla: il vero problema è che le finanze dell’Alto Calore sono al disastro. Nelle città civili, i primi servizi che un sindaco dovrebbe assicurare sono: l’acqua pubblica, il sistema fognario, la depurazione delle acque, ovvero tutto quello che non è stato fatto ad Ariano. Si grida contro l’Alto Calore Servizi SpA, su cui si scaricano le responsabilità, dimenticandosi del passato e persino del presente. Gli azionisti, quindi i padroni dell’Alto Calore, sono gli enti locali, ovvero la maggior parte dei Comuni irpini e del Sannio, che oltre a detenere le azioni dell’Alto Calore, sono i proprietari dei tubi marci che dovrebbero portare acqua nelle case. I vecchi tubi sono di piombo, di ghisa, di eternit e non sono mai stati cambiati, ma soltanto rappezzati. I grandi tubi delle condotte principali sono invece di proprietà della Regione Campania attraverso l’Ente Idrico Campano: l’Alto Calore è soltanto il gestore pieno di debiti che vengono dal passato, e forse anche dal presente. Quanti sindaci avranno chiesto a quell’ente, l’assunzione clientelare di qualche parente, amico o semplice elettore? È giunta l’ora di rimboccarsi le maniche ed attuare un risanamento dell’Alto Calore e l’attuale Amministratore Unico sembra ci voglia provare. I sindaci sono i principali responsabili della mancanza d’acqua nelle case degli Irpini, nonostante l’Irpinia galleggi sull’acqua: persino un regio decreto dell’inizio del Novecento recitava che sindaci erano tenuti a dare acqua “bona” ai propri cittadini. Regione, Ente Idrico Campano, Alto Calore, Comuni e Province, non hanno neanche avuto la dignità di richiedere i fondi del PNRR (miliardi di euro) per il risanamento idrogeologico e per il rifacimento delle reti idriche. Se il Comune di Ariano, che sta spendendo 5 milioni di euro del PNRR per rifare il lastricato di 5 piazze, avesse sostituito km di tubi, sarebbe stato meglio, ma come si sa, i tubi non si “vedono”. Ovviamente anche la Regione Campania dovrà fare la sua parte. L’Amministratore Unico, avv. Antonello Lenzi, ci sta provando con uno degli strumenti a sua disposizione: l’aumento delle tariffe a carico dei cittadini, che dovrebbero pagare anche per il 60-70% di acqua che si disperde dai tubi fatiscenti. Ma c’è un altro strumento: l’aumento di capitale dell’Alto Calore SpA. Si indica un’assemblea straordinaria dei soci (i sindaci azionisti), si faccia partecipare un notaio e si deliberi un aumento di capitale con azioni riservate agli attuali azionisti, per scongiurare che qualche malintenzionato pensi di introdurre qualche grimaldello per far entrare i privati. Certo, i Comuni dovranno pagare, ma di fronte alla prolungata emergenza acqua, si deve attuare una politica di austerità: il denaro si può e si deve trovare! Non è da molto che l’indennità dei sindaci è stata aumentata e con essa, a cascata, quella dei vice sindaci, degli assessori, dei presidenti del Consiglio comunale e dei consiglieri. Per i sindaci che fanno del loro incarico un mestiere (e ciò non è edificante), si potrebbe tornare all’indennità precedente, quelli che invece continuano a svolgere il loro lavoro privato retribuito, potrebbero rinunciare alle loro indennità, così come i consiglieri comunali, al gettone di presenza. Abito ad Ariano Irpino, che dopo Avellino, è il primo azionista dell’Alto Calore e so che il sindaco percepisce un’indennità di 4.140 € mensili in quanto, non avendo un lavoro, non si è messo in aspettativa: perché non rinuncia almeno in parte alla sua indennità e così a seguire, tutti gli altri amministratori? Si facciano meno trasferte inutili a carico dei contribuenti, si disdettino i fitti passivi che i Comuni pagano ai privati, si riscuotano i fitti attivi di immobili, che spesso sono concessi in comodato d’uso gratuito per ragioni clientelari, si mettano in vendita le proprietà immobiliari dei Comuni non utilizzate a fini istituzionali, che potrebbero attivare un circuito virtuoso di investimenti, che creerebbe uno sviluppo economico. Si inizino a tagliare le spese effimere come i vari concerti che si propinano ai cittadini, credendo che si possa sostituire l’acqua con la musica. Si indicano appalti pubblici e si facciano pagare le penali alle imprese che non rispettano i contratti: quando c’è un’emergenza bisogna attuare una politica di austerità. Manca l’acqua nelle case e il Comune di Ariano Irpino ha appena concesso ben 190.000 euro a 14 associazioni: è una mancia elettorale?                                                                                                                                                                             

Di fronte alla mancanza d’acqua, non ci sono scuse: ognuno dovrà fare la propria parte senza gravare ancora una volta sui cittadini. Si sono accorti i sindaci che i loro paesi si stanno spopolando? Se si vogliono rilanciare le zone interne dell’Irpinia non si può prescindere dai servizi essenziali, a partire proprio dall’acqua. Si intende che anche la Regione dovrà fare la propria parte: la sostituzione dei grandi tubi principali che spesso si rompono e dovrà dare un finanziamento straordinario all’Alto Calore.                                                                                           

I sindacati, dal canto loro, non si possono sterilmente abbarbicare nella difesa dei dipendenti dell’Alto Calore: devono promuovere una “VERTENZA ACQUA” per sconfiggere chi vede nella privatizzazione la soluzione di ogni problema. Privato non è sinonimo di efficienza, bensì un ulteriore strumento per sfruttare i lavoratori e spremere i cittadini con alte tariffe per l’acqua.                                                                                                                                                                                    
Aleandro Longhi                                                    Coordinatore Comitato SAT (Salute, Ambiente, Territorio)

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L’acqua non si vende, sit-in a Napoli il 27 agosto per l’acqua pubblica

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Papa Francesco nella Laudato si ci insegna che: “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.” Il surriscaldamento del pianeta sta mettendo a serio rischio il diritto all’acqua a causa dell’abbassamento delle fonti. In Campania, come in tutto il sud Italia, la situazione è sempre più drammatica. Nel momento in cui le interruzioni del servizio idrico sono all’ordine del giorno, ci saremmo aspettati che la politica si impegnasse a garantire il rispetto del referendum del 2011 e tariffe agevolate per l’accesso all’acqua a tutta la popolazione. Ed invece incredibilmente l’Ente idrico Campano si riunisce in piena estate il 27.08.2025 per deliberare:

la privatizzazione dell’acqua nella provincia di Caserta con una gestione mista pubblico/privato;

l’aumento delle tariffe nei 126 comuni delle province di Avellino e Benevento serviti

da Alto Calore servizi.

    La privatizzazione dell’ambito casertano fa parte del più ampio processo di svendita dell’acqua in tutta la Campania a favore di Acea. E inaccettabile che la regione con i bacini più ricchi del sud Italia diventi terra di conquista per le multinazionali che vogliono rivenderci la nostra acqua a peso d’oro. Siamo stanchi di ascoltare dalla politica la stessa favoletta: “non ci sono risorse per gestire l’acqua e per questo è inevitabile il ricorso ai privati”. Ma i soldi per le armi si trovano sempre mentre sono lasciati a secco settori vitali quali la sanità, la scuola ed il risanamento delle reti colabrodo. La risposta alla crisi idrica non è la privatizzazione, come dimostra l’ingresso dei privati in settori quali autostrade, elettricità, gas e telefonia che ha portato soltanto aumenti delle tariffe e disastrose gestioni.

    Dall’altra parte è inaccettabile che a pagare i debiti di Alto Calore siano soltanto le famiglie già alle prese con grosse difficoltà economiche. Per questo chiediamo con forza il rispetto del concordato fallimentare per mettere in sicurezza l’Ente e garantire una gestione pubblica della risorsa, senza un indiscriminato aumento delle tariffe.

    Il Sit-in si terrà il 27.08.2025 alle ore 15 a Napoli in via De Gasperi 28, davanti la sede dell’Ente Idrico Campano

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    La Direzione strategica dell’Asl in visita alle strutture e agli ospedali di Sant’Angelo e Ariano

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    In un clima di grande collaborazione la Direzione Strategica ha avuto un confronto attivo con i direttori delle strutture sanitarie e ospedaliere, i medici e il personale sanitario e amministrativo con l’intento di avviare un dialogo funzionale all’individuazione e risoluzione delle criticità esistenti e al potenziamento dei servizi sanitari al cittadino sia a livello territoriale che ospedaliero. Dopo l’incontro di lunedì scorso con il personale della sede centrale di Avellino, il primo passo della Direzione strategica è stata la visita mercoledì dell’SPS di Bisaccia, del Distretto Sanitario e dell’Ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi, e oggi del Distretto Sanitario e Ospedale di Ariano Irpino per un saluto ai dipendenti.

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