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Legge Calderoli sull’autonomia differenziata, perché No: conosciamola meglio-SPECIALE SECONDA PARTE-

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Consegnate le firme in Cassazione, si attendono gli esiti per poter procedere con il referendum

Il 26 giugno è stata promulgata dal Presidente della Repubblica la legge n.86/2024 sull’autonomia differenziata, che consente alle Regioni di chiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie, comprese le tre di sua specifica competenza, ovvero: Organizzazione della giustizia di pace, Norme generali sull’Istruzione, Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Passerebbero in esclusiva competenza della Regioni, queste materie oggi a legislazione concorrente (di comune competenza di Stato centrale e Regioni): Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; Commercio con l’estero; Tutela e sicurezza del lavoro; Professioni; Tutela della salute; Ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; Alimentazione; Ordinamento sportivo; Governo del territorio; Autostrade, porti e aeroporti civili; Reti (grandi) di trasporto e di navigazione; Produzione, trasporto e distribuzione dell’energia; Protezione civile; Valorizzazione dei beni culturali e ambientali, Promozione e organizzazione di attività culturali; Previdenza complementare e integrativa; Ordinamento della comunicazione; Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.   

Composta da 11 articoli, la legge Calderoli sarebbe finalizzata ad attuare l’articolo 116 (terzo comma) della Costituzione, che prevede la possibilità di attribuire alle Regioni a statuto ordinario che lo richiedano, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con legge dello Stato. Le Regioni potranno concordare con il governo la “devoluzione” di competenze e risorse pubbliche, redistribuite verso i territori che lo richiederanno, con la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale, per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento.

I principali articoli

L’articolo 1, in maniera contraddittoria, indica finalità e principi generali, citando i “princìpi di indivisibilità e autonomia in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze, idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione […]”. Il comma 2 precisa che l’attribuzione dei poteri è subordinata alla determinazione dei Lep, Livelli essenziali di prestazioni, livelli minimi di servizi che “devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale” (art. 117 Cost. secondo comma, lettera m).                                                                                                                                 

Quattordici le materie definite dai Livelli essenziali di prestazioni, la cui determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, sarà stabilita attraverso una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. Entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della legge, il Governo dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep.

L’art. 2 stabilisce la procedura per le intese tra lo Stato e le Regioni richiedenti. Iter alquanto farraginoso: la Regione interessata, ascoltati gli enti locali, potrà chiedere allo Stato l’autonomia in una o più materie o anche soltanto in ambiti di materie. L’atto dovrà poi essere trasmesso al Presidente del Consiglio e al Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, che, “acquisita entro sessanta giorni la valutazione dei Ministeri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell’individuazione delle necessarie risorse finanziarie da assegnare ai sensi dell’articolo 14 delle legge 5 maggio 2009, n. 42, avvia il negoziato con la Regione richiedente ai fini dell’approvazione dell’intesa […]”. “Ai fini dell’avvio del negoziato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, tiene conto del quadro finanziario della Regione”.                   

Avviato l’iter, Stato e Regioni dovranno giungere ad un accordo entro cinque mesi ed indicare durata e scadenza delle intese, che potranno durare dieci anni ed essere rinnovate, o terminare prima, con un preavviso di almeno un anno da parte dello Stato, che ne delibera la cessazione: “lo Stato, qualora ricorrano motivate ragioni a tutela della coesione e della solidarietà sociale, conseguenti alla mancata osservanza, direttamente imputabile alla Regione sulla base del monitoraggio di cui alla presente legge, dell’obbligo di garantire i LEP, dispone la cessazione integrale o parziale dell’intesa, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere”.

L’articolo 3 incarica il Governo ad
individuare i Lep e i relativi costi
e fabbisogni standard, per definire i quali, la legge di Bilancio 2023 ha
creato una Cabina di regia presieduta da Giorgia Meloni, con delega al ministro
Calderoli. Il termine dei lavori era previsto a fine 2023, ma è stato esteso di
un anno con il decreto Milleproroghe. Entro due anni dall’entrata in vigore della
legge, il Governo dovrà adottare uno o più decreti legislativi, attenendosi ai
princìpi e criteri direttivi della legge 29
dicembre 2022, n.197.                                                                                                                                                                                                                                   
L’art. 4 subordina il “trasferimento delle funzioni con le relative
risorse umane, strumentali e finanziarie soltanto dopo la determinazione dei
Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese
disponibili nella legge di bilancio. Qualora
dalla determinazione dei Lep […] derivino nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo
successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di
stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli
essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le
Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità
di trattamento tra Regioni, coerentemente con gli obiettivi programmati di
finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”.
L’art. 11, oltre ad estendere la legge anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, salvaguarda l’esercizio di potere sostitutivo del Governo, il quale potrà sostituirsi a
Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni, se si dimostreranno inadempienti
su trattati internazionali, normativa comunitaria, sicurezza pubblica, tutela
giuridica ed economica e non garantiranno i livelli essenziali. I Lep dovranno
anche essere aggiornati periodicamente: la Corte dei Conti dovrà riferire
annualmente alle Camere sui controlli effettuati, in particolare sulla
congruità degli oneri finanziari conseguenti al trasferimento di competenze
nell’ambito del regionalismo differenziato.

Aumento dell’efficienza o cessazione della solidarietà?

La legge Calderoli sembra più un machiavellico disegno
disgregatore simile a una bomba ad orologeria, per dirla con il sito
Carteinregola, della cui pericolosità, in pochi sono consapevoli. Le Regioni che finora hanno rivendicato un
maggiore protagonismo amministrativo, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sono
tra le più ricche del Paese e dunque quelle che ne gioverebbero maggiormente. E
che ne sarà delle altre?                                                                                              
                                                    Il nodo
dei Lep                                                                                                                                                                                                           
Sullo spinoso argomento dell’autonomia, anche i governi precedenti
hanno fatto la loro parte: stendendo un velo
pietoso su quel centro-sinistra che nel 2001, assecondando le spinte
federaliste derivanti dalla vittoria della Lega, riformò il Titolo V della
Costituzione, tentativi di approvare il Ddl sull’autonomia, ci sono stati anche
nei Governi Gentiloni, e più di recente, in quelli Conte-uno e due, naufragati
per non essere riusciti a risolvere l’ostacolo dei Lep, tema di non facile soluzione. La
conditio sine qua non della riforma dunque, sembrerebbe subordinata alla necessità di
assicurare nell’intero territorio nazionale l’erogazione dei medesimi livelli
qualitativi dei diritti civili e sociali, nel rispetto
dell’art.119 della Costituzione, che sancisce la promozione dello sviluppo
economico, della coesione e della solidarietà sociale, finalizzati a rimuovere
gli squilibri economici e sociali. Sulla
carta, i Lep dovrebbero garantire l’uniformità dei servizi da Nord a Sud,
ma nei fatti dipenderà dai finanziamenti che lo Stato centrale potrà mettere a
disposizione per far convergere qualitativamente prestazioni, ancora assai
diversificate.                                                                                                 

Studiosi, politici, enti, associazioni, hanno espresso perplessità e preoccupazioni
qualora la legge Calderoli venisse applicata. Luca Bianchi, direttore della SVIMEZ (Ass. per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha evidenziato come: “per realizzare la
compiuta armonia, occorre che i principi introdotti dall’art. 119 siano resi
pienamente operativi, il che non è, visto che proprio la legge attuativa (42
del 2009), che mira a regolare il federalismo fiscale, non è stata mai, da
allora, attivata. L’autonomia differenziata delineata dal Governo espone dunque l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione
delle politiche pubbliche”. Secondo l’economista Paolo Balduzzi, al momento non ci sono studi, né esiste: “un criterio oggettivo o tecnico che permetta di stabilire se una
Regione sia o meno, in grado di fare meglio dello Stato negli ambiti di competenze che saranno trasferiti. Pertanto, prima di un qualunque ulteriore avanzamento legislativo, appare imprescindibile introdurre strumenti di misurazione oggettiva dei risultati storici delle varie Regioni nelle diverse materie”.

Nord contro Sud?                                                                                                                                                  Con l’autonomia, si rischia che la distanza tra il Nord e il Sud diventi incolmabile, mentre l’Italia sarà divisa in una babele di staterelli con leggi diverse, i cui “governatori” su molte materie potranno decidere i destini dei territori senza nessun ente sovraordinato che faccia da contrappeso e garante. E diviene plausibile la realizzazione di una Macroregione del Nord, a cui potrebbe fare da contraltare anche una Macroregione del Sud, col risultato di una contrapposizione.                                                                                                                                                         I fautori dell’autonomia differenziata sostengono che la maggiore responsabilizzazione delle Regioni possa fungere da volano verso un aumento dell’efficienza: in realtà, se la devoluzione partirà senza aver sanato i Lep, e, per com’è articolato il Ddl Calderoli, pare assai difficile arrivarci, tanto più se si pensa che in ventitré anni dalla riforma costituzionale che ha introdotto l’autonomia, non è mai stato fatto, finirà per aumentare le già innegabili disparità sociali e territoriali del Paese. Chi ha già di più, otterrà di più e anzi, considerando che la Regione potrà trattenere il gettito fiscale, che pertanto, non sarà più destinato alla creazione di servizi nazionali, altro che principi di solidarietà Costituzionale, piuttosto autonomia privilegiata o “secessione dei ricchi”!                              

Fabio Panetta, governatore di Bankitalia ha recentemente (19/09) affermato che il divario territoriale Nord-Sud: “non può essere colmato con misure di natura assistenziale e con una mera azione redistributiva, ma richiede politiche volte a stimolare lo sviluppo delle regioni meridionali”. Ha richiamato più volte politiche sulle infrastrutture strategiche, porti, aeroporti, ferrovie, comunicazione, digitalizzazione, energia, sottolineando che se il Sud non cresce, il Paese rimane al palo.

Sanità, sistema in crisi che imploderebbe definitivamente                                                                                                                                                                                           Il Sistema sanitario nazionale pubblico, in evidente fase di smantellamento a favore del settore privato, soffre della carenza di trentamila medici e settantamila infermieri, a cui si aggiunge la crescente emigrazione del personale verso l’estero, dove percepisce stipendi molto più alti.                                                                                                                                                                 Per comprendere meglio cosa potrebbe accadere, si pensi alla disastrosa gestione della pandemia da Covid-19 della regione Lombardia guidata da Attilio Fontana, che non è riuscita neanche a implementare un sistema efficace per la prenotazione dei vaccini, se non con l’ausilio del sistema nazionale di Poste Italiane. Con una sanità regionale, chi si trova provvisoriamente in altre regioni, potrebbe avere grandi difficoltà anche nel farsi prescrivere e acquistare le medicine: pertanto già il sistema di prescrizione, non potrebbe diventare di esclusiva competenza regionale.                                                                                                                                                    La Fondazione Gimbe, presieduta da Nino Cartabellotta, ha evidenziato le sperequazioni tra la sanità del Nord e quella del Sud, sottolineando come la carenza di personale che riguarda soprattutto il Sud, andrebbe ad aumentare allorquando, medici e personale sanitario, emigrassero verso le regioni più ricche. L’autonomia differenziata darebbe il “colpo di grazia al sistema sanitario nazionale, aumentando le diseguaglianze regionali e legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.                                                                                                                                                             Trasporti                                                                                                                                                         I contrari all’autonomia sottolineano come i trasporti gestiti dagli enti locali siano quelli più inefficienti. Per non parlare dei problemi che l’autonomia creerebbe a quei centri urbani situati in una regione, ma che ruotano attorno a città di altre regioni. I favorevoli ritengono che le regioni con un maggior controllo sulle spese, realizzerebbero le infrastrutture con maggior efficienza e garantirebbero più servizi, assecondando le esigenze della popolazione.                                                                                                                                    Istruzione                                                                                                                                                              Ancora Luca Bianchi (SVIMEZ): “L’autonomia prospettata dal Ddl Calderoli colpirebbe gravemente il sistema scolastico con un vero processo separatista, in cui si avrebbero programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati”. Noi aggiungiamo che, considerando i tentativi in corso di riscrivere la Storia, anche i programmi e i testi scolastici risentirebbero dei governi locali, che potrebbero voler imporre la loro “visione”.                                                                                                                                                  La sociologa Chiara Saraceno sostiene come: “non sarebbe possibile lasciare l’attuazione del compito costituzionale della scuola alle diverse disponibilità e scelte locali, perché già ora esiste una differenziazione ingiusta delle risorse educative pubbliche offerte sul territorio nazionale, non solo tra regioni, ma anche all’interno delle stesse regioni e città”.                                                                                                             Un moltiplicatore dei divari territoriali                                                                                                                       Anche la CGIL ha espresso netta contrarietà al gran pasticcio della legge 86: “In un Paese che già soffre di un livello drammatico e crescente di disuguaglianze sociali e di divari territoriali, l’ultima cosa che serve è un’autonomia differenziata che allarghi ulteriormente questi squilibri. Si vuole attuare il “regionalismo asimmetrico”, prima di aver realizzato il “regionalismo simmetrico”, che non può prescindere da un’effettiva perequazione tra territori con maggiore e minore capacità fiscale.                                                                                                                          Ambiente salubre, un fondamentale diritto civile e sociale                                                                                                                             Il WWF Italia, teme il “fondato rischio che l’autonomia differenziata possa intaccare l’unità del Paese”, rimarcando come: “il regionalismo differenziato non possa compromettere le garanzie di tutela ambientale, che devono invece valere in tutto il Paese evitando situazioni a macchia di leopardo. La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi costituisce la tutela del presupposto stesso della vita umana, che dipende in maniera assoluta dai servizi ecosistemici (acqua, ossigeno, assorbimento di carbonio, ecc.) che la natura fornisce”.

Depositate in Cassazione le firme per il referendum abrogativo

                                                                                                                

Il 5 luglio presso la Corte di Cassazione è stato depositato il quesito abrogativo della legge 86:  “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n.86 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art.116, terzo comma, della Costituzione?”.                                                                                    

Per promuovere il referendum abrogativo sono state raccolte circa 1milione e trecentomila firme: ne sarebbero bastate 500mila! Un risultato straordinario, come ben ha evidenziato il costituzionalista Massimo Villone, considerando che sono state raccolte in una torrida estate. Il 26 settembre sono state consegnate in Cassazione dai leader dei partiti di opposizione e dal Comitato promotore. Sono stati inoltre presentati ricorsi alla Consulta da parte delle Regioni: Campania, Puglia, Toscana e Sardegna.  

La Corte Costituzionale dovrà confermarne l’ammissibilità del referendum entro il 20 gennaio 2025, dopodiché, il Governo e il Presidente della Repubblica potranno indire il referendum, da svolgersi tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025.                                                                                                                                             

 L’inaspettato successo della raccolta delle firme, fa ben sperare anche in un recupero di quella coscienza civile che talvolta sembra smarrita o quantomeno, assopita, di certo a causa dello squallido mercato al ribasso di buona parte della politica degli ultimi decenni. Il popolo ha il diritto-dovere di riprendere fiduciosamente ad esercitare la sua sovranità attraverso il potere del voto, per dare concretezza alle firme raccolte e scongiurare la frantumazione del nostro Paese. È fondamentale andare a votare, superare il 50 per cento più uno degli aventi diritto perché il referendum sia valido: bisogna far sentire la propria voce, perché l’Italia rimanga unita, libera e giusta.

Fonti: Senato, corriere.it, ilsole24ore.com, lastampa.it, Ilfattoquotidiano, ilfattoquotidiano.it, wired.it, ansa.it, carteinregola.it, lexplain.it, avvenire.it, diritto.it, quotidiano.net, ilMattino, Lavoce.info, laRepubblica, repubblica.it, quotidianosanità.it, quotidianodelsud.it, orticalab.it

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

                                                                                                                                                

                                                                                                                                                                            

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Pallavolo Serie D – Esordio fuori casa per il GSA Pallavolo Ariano

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Dopo aver conquistato nella scorsa stagione la promozione in serie D, la Coppa e la SuperCoppa IrpiniaSannio,  il GSA PALLAVOLO ARIANO sabato 2 novembre scende in campo a Cava dei Tirreni per la prima gara del campionato di serie D maschile.

La partita inizierà alle ore 19.30 per dare avvio ad una nuova fase agonistica che il GSA intende giocare  per l’alta classifica.

Confermato lo staff tecnico con Giulio Filomena e Nico Medici a guidare il gruppo nel quale saranno ancora  G. Santosuosso, L. Guardabascio e R. Caso  punti di riferimento per giovani promettenti come M. Molinario, M. Ninfadoro , C. Capozzi e P.Borriello. La qualità non manca nel resto della squadra con  G. Ricciardi, A. La Luna, L. Schiavo, H. Chiaradonna, A. Iandoli, T. Barrasso , M. Toriello  a disposizione dei tecnici per dimostrare di  valere la categoria.

Per questa importante avventura regionale, la società arianese è pronta  anche a lanciare i giovanissimi dell’Under 17 che già hanno messo in mostra il loro positivo spessore con una vittoria per 3-0 nel debutto casalingo con i pari età dell’Academy nel torneo territoriale di categoria.

Per l’esordio fuori casa gli arianesi dovranno aspettarsi una gara difficile e confrontarsi con un avversario molto solido; il fattore campo può aiutare i cavesi, ma il GSA deve subito metabolizzare le difficoltà della serie regionale e scendere sul parquet con la consapevolezza di saper imporre il proprio gioco  per conquistare la vittoria.

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Giornata delle Forze Armate – Il 4 Novembre ad Ariano la cerimonia per il Giorno dell’Unità Nazionale

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino, in una sobria e solenne cerimonia, vuole  commemorare i Caduti di tutte le Guerre, rendere omaggio alle Forze Armate, celebrando la Festa dell’Unità Nazionale, in ricordo della fine della prima Guerra Mondiale.

Appuntamento lunedì 4 novembre 2024 alle ore 10,00 al Piano della Croce presso il Monumento ai Caduti dove, alla presenza delle Autorità Civili, Militari e  Religiose, verrà   deposta la   Corona di alloro, sulle note dell’Inno Nazionale.

Una  Corona di Alloro verrà deposta anche davanti al busto di Giulio Lusi in Villa Comunale e nell’atrio di Palazzo di Città.

Il messaggio istituzionale  è rivolto alle nostre giovani generazioni, per non dimenticare  i nostri Caduti in Guerra, morti per gli ideali risorgimentali di indipendenza, di libertà, di democrazia che hanno determinato l’Unità d’Italia ed esprimere riconoscenza per coloro che ancora oggi rischiano la vita al Servizio della Comunità.

La cittadinanza  è invitata a partecipare.

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Roberto Zaffiro: vi racconto la mia Africa e vi invito a diventare benefattori

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Imprenditore nel settore edile (azienda di dieci dipendenti), insieme ad altri due fratelli, sposato e con due figli, Roberto Zaffiro, con il pieno sostegno della famiglia, si dedica anima e corpo alla missione che lo appassiona e gratifica di più: dalla costruzione di pozzi e scuole, ai presidi ospedalieri, in Africa. Il 5 novembre partirà per la Nigeria e in gennaio per il Benin

“Un tempo ero laico, poi a 37 anni, 20 anni fa, c’è stata la mia conversione, a seguito del viaggio a Medugorje, – ci racconta. Il senso di solidarietà l’ho però sempre avuto nel DNA, tanto che ogni volta che ho girato il mondo, ho sempre elargito del denaro, ai bisognosi che mi è capitato di incontrare”.  

                                                                                                                                            

Quando hai capito che la tua missione era dedicarti in maniera più completa agli altri?                                                                              

 La svolta a seguito del viaggio a Medugorje. Fino ad allora ero stato una sorta di superficiale credente praticante, che girava il mondo, compresa l’Africa, anche in moto, e non dava grande importanza ai sacramenti e alla preghiera. In quel luogo, come se avessi improvvisamente intuito le mie miserie e fragilità, ho pianto molto e ho capito che dovevo cambiare la mia vita e relazionarmi in maniera diversa con Dio. È cominciata così la mia conversione, incrementando anche la frequentazione della Chiesa, finché a Montevergine (AV) non ho incontrato padre Jean Baptist, sacerdote originario del Benin (Diocesi Kandi-Benin), specializzatosi a Roma. Siamo diventati amici e, dopo che mi ha mostrato le carenze d’acqua nel suo villaggio, gli ho donato un pozzo. Quando è tornato in Africa, mi ha fatto promettere che sarei andato a trovarlo. Nel 2012 l’ho raggiunto e ho cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi, mi sono reso conto della vita di sofferenza della popolazione: bambini e adulti che bevevano dalle pozzanghere esponendosi a malattie, quando non la morte, bambini costretti a percorrere chilometri con le taniche in testa per approvvigionarsi dell’acqua. Un pozzo è una fonte di acqua viva utile a diverse comunità, talvolta serve fino a diecimila persone o più (dipende dalla grandezza dei villaggi) e nel tempo, cambia radicalmente la loro vita: cominciano ad allevare animali, a praticare l’agricoltura. L’acqua è di interesse primario: il 60-70 per cento dei nostri fondi li impieghiamo nella costruzione dei pozzi, a cui facciamo seguire attività ambulatoriali, considerando che, per accedere all’assistenza sanitaria, bisognerebbe percorrere centinaia di chilometri e talvolta non c’è il tempo, né la possibilità, di farlo. Molte malattie derivano dalla mancanza di igiene, dal fatto che non ci si può lavare: da una banale diarrea si passa alla febbre, inizia la sofferenza, che diventa acuta, poi grave e infine, può portare alla morte. Un piccolo presidio sanitario, con almeno uno-due infermieri e un medico, serve a trasmettere i fondamenti dell’igiene necessari a prevenire diverse malattie, anche se, per quelle più gravi, bisogna recarsi presso gli ospedali. Agli ambulatori cerchiamo di affiancare la promozione dell’istruzione di base che consenta ai più poveri, che non possono permettersi la scuola, almeno di difendere i diritti propri e della famiglia: l’istruzione emancipa e salva il mondo.                                                                                                                                                                             Come individuate dove costruire un pozzo?    

                                                                                                                                                   

Primo step individuare il punto, poi una sorta di rabdomante, col talento sensibile nelle mani, scopre dove potrebbe esserci più acqua, quindi arriva la trivella, che in genere scava per 4-5 ore, con tutta la popolazione intorno, che festeggia il grande evento, che cambierà la loro la vita. Il primo getto d’acqua, è un vero spettacolo: vediamo la gioia dei bambini e della gente. Documentiamo tutto in diretta e lo postiamo sui social, poi, a fine missione, montiamo un filmato che mostreremo ad amici, conoscenti e benefattori, nonché a chi volesse diventarlo. Vogliamo dimostrare che facciamo opere concrete e cerchiamo di renderci utili, per alleviare almeno in parte, la sofferenza di quelle popolazioni. Realizzare un pozzo costa circa 7-8 mila euro, ma dipende dal luogo, dalla quantità e dalla profondità del terreno. Un ambulatorio sanitario, così come una scuola, costa intorno ai 20-30 mila euro, a seconda delle dimensioni.                                                                                             

Finora abbiamo realizzato 24 pozzi in Benin, uno in Malawi e 5 in Nigeria, che servono una popolazione complessiva di circa 350 mila abitanti.  

                                                                                                                                                                

La strada la preparano i religiosi, che, oltre alle lingue locali, compresi i vari dialetti, parlano inglese, francese ed italiano. Con le loro diocesi, di dimensioni notevoli, sono radicati sul territorio, interloquiscono coi capi villaggio, i quali, al di là dei diversi credo religiosi, convivono senza combattersi. Ogni iniziativa la condividiamo con i capi delle comunità: acqua, sanità, scuola, sono per tutti, cristiani, musulmani, animalisti. Questo ci consente anche di approcciarci a quei territori senza temere per la nostra incolumità.

                                                                                                                                                                                                                                                                      

Con quali modalità raccogliete le risorse necessarie?     

                                                                                                                                       

  I fondi vengono raccolti sia con la promozione di giornate di beneficenza, sia nelle chiese, attraverso l’associazione Regina della Pace e Carità (con sede in Flumeri, AV), finalizzata a promuovere e gestire interventi di cooperazione allo sviluppo e progresso umano, economico e sociale, attraverso la costruzione di pozzi, scuole, ambulatori, orfanotrofi e chiese, nei Paesi in via di sviluppo. Nata allo specifico scopo della missione in Africa, la onlus è composta da 12 persone, 3 delle quali, sacerdoti africani. I sacerdoti, vivendo in Africa, conoscono il territorio e poiché ogni anno vengono in Italia, fermandosi per circa 40 giorni presso le parrocchie, ci aiutano a progettare le sfide che realizzeremo insieme. Sono loro i veri esecutori delle opere: i pozzi si scavano rapidamente in nostra presenza, ma per le altre opere che invece richiedono mesi, noi ogni anno andiamo a verificare ciò che è stato realizzato e lo inauguriamo insieme. Quest’anno abbiamo realizzato 3 pozzi in Benin e altri 3 ne realizzeremo entro fine anno in Nigeria: partiremo il 5 novembre, per tornare il 19. Per l’inizio del 2025 realizzeremo una chiesa e ancora 4 pozzi in Benin, nonché giornate sanitarie e visite agli orfanotrofi locali. Giacché abbiamo costruito tre ambulatori in Benin, tra cui un ospedale della maternità, promuoveremo la formazione sanitaria, invitando le popolazioni limitrofe, alle quali si insegnerà la prevenzione di base e doneremo dei medicinali, che, su indicazione dei medici locali, acquistiamo direttamente in loco o nelle città più grandi, che distano anche fino a 250 km. Spesso i bambini hanno la pancia gonfia dovuta ai vermi, così acquistiamo il farmaco per la sverminazione, che costa un euro e mezzo e salva loro la vita o la tachipirina, utile in caso di febbre alta. Molti bambini vengono abbandonati nella savana, se la famiglia a causa dell’estrema povertà non può mantenerli, oppure se malati o albini (pensano siano indemoniati), così suore, preti e laici, li raccolgono e li portano negli istituti religiosi dotati di orfanotrofi (30-40 posti), che però soffrono difficoltà economiche e alimentari. Quando li visitiamo, doniamo una metà delle offerte in beni materiali, riso, olio e latte in polvere, e il resto, tra i mille e i tremila euro (a seconda di ciò di ciò che siamo riusciti a mettere da parte), lo diamo alla struttura come sostegno economico. Cerchiamo di metterli in condizioni di andare avanti per qualche mese, di dare ai loro ospiti una speranza per il futuro. Nel 2026 in Malawi vorremmo realizzare un orfanotrofio per bambini abbandonati e disabili e 2-3 pozzi, per cui stiamo raccogliendo fondi e invitiamo chiunque potesse e volesse, a contribuire.                                                                                                                                                              

 Che altro fare per aiutare concretamente gli Africani?                            

                                                                                                        

  I governi locali dovrebbero preoccuparsi, per cominciare, di dare l’acqua, consentire l’istruzione e la sanità, che fornirebbe a quelle popolazioni i mezzi per progredire ed essere autonome a casa loro. In tal modo, non avrebbero bisogno di rischiare la vita sui barconi, per illusioni irrealizzabili. Purtroppo i loro governanti sono spesso dittatori che non hanno alcun interesse a metterli in condizioni di autosufficienza, ma preferiscono tenerli nell’ignoranza, per poterli gestire.                                                                                                                  

Dal canto nostro, immersi nel benessere, noi consumiamo cose inutili, sprechiamo e buttiamo. Vorrei esortare a pensare a chi ora sta soffrendo, destinando ciò che per noi è superfluo a chi invece ha necessità basilari. Per dirla con madre Teresa di Calcutta: la condivisione sconfigge la povertà.                                                      

 Siete in procinto di partire per la prossima missione…

                                                                                                                              

 Il 5 novembre partiremo per la Nigeria per due settimane. Sarò accompagnato da due nuovi benefattori, Giovanni Parrella di Motesarchio (BN), e Angela Ciasullo di Flumeri, che documenterà i lavori anche filmando e, per la missione, è riuscita a superare la sua antica paura per gli aghi, poiché ha dovuto vaccinarsi, e persino quella di volare. Ognuno di noi ha sostenuto autonomamente il costo del biglietto (1.000 €) e dei visti (300 €).                                                                                                                                                                              Dal 16 gennaio al 5 febbraio tornerò in Benin, ancora con Angela Ciasullo e i parroci: Don Alessandro Pascale, di Prato Principato Ultra, Don Alberico Grella, di Sturno, Don Rino Morra, di Bisaccia e chiunque volesse aggiungersi”. 

                                                                                                                                                                                                                                  

I prossimi eventi per raccogliere fondi e visionare quanto realizzato in Benin: sabato 30 novembre 2024 alle 20, cena di beneficenza (20 €) presso i Saloni dell’Oratorio ANSPI San Prisco (Via Grotte) a Passo Eclano (AV); domenica 8 dicembre 2024 a Zungoli (AV), ore 13 pranzo di beneficenza (25 €), presso il Convento San Francesco. Ulteriori informazioni (e prenotazioni) su: https://www.reginadellapaceecarita.org

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