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Tragedia sul cantiere dell’Alta Velocità: morto operaio di Ariano

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Tragedia quest’oggi in provincia di Foggia. Sul cantiere dell’Alta Velocità, località Giardinetto, un operaio trasportato al Policlinico Riuniti di Foggia in condizioni disperate, è deceduto per le gravissime ferite riportate. Sul caso e la dinamica della tragedia indagano i carabinieri.La vittima, un uomo di 62 anni di Ariano Irpino, era all’interno di una cabina gru e stava manovrando un cavo con gancio che si sarebbe staccato, travolgendo la cabina.

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L’avena, un prezioso cereale da coltivare e rivalutare

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Ad Ariano Irpino, presentato un progetto che reintroduce la coltivazione di avena ricca di betaglucano

Rivalutare l’avena, cereale per troppi anni trascurato o utilizzato prevalentemente in ambito zootecnico, è  obiettivo prioritario del Progetto “Avena for New Food, rivalutazione e sviluppo della coltura dell’avena attraverso nuovi processi di coltivazione e lavorazione della granella da utilizzare nei prodotti alimentari”, presentato ad Ariano Irpino, in contrada Camporeale. Il progetto PSR (Programma di sviluppo rurale) 2014-2020, è supportato dalle aziende agricole Rocco De Feo e Donato De Feo, in collaborazione con l’Università di Salerno, rappresentata dal Professor Fabrizio Dal Piaz, che si è soffermato sui betaglucani contenuti nell’avena. “Come dimostrato da diversi studi clinici – ha sottolineato, le sue proprietà nutrizionali, rendono l’avena adatta al regime dietetico dell’alimentazione senza glutine, in particolare e dei celiaci (ndr, intolleranti al glutine) e il contenuto della fibra solubile di betaglucano, aiuta a ridurre i livelli di colesterolo nel sangue e la glicemia, compresa quella postprandiale. Le aziende sementiere avevano abbandonato l’avena a causa della scarsa resa di alcune varietà, ma oggi, dopo aver individuato le aziende agricole, abbiano ripreso in considerazione e selezionato le vecchie sementi, che tendono a esprimere maggiori livelli di betaglucano. Abbiamo creato così un progetto attento alla qualità delle varietà considerate, a partire dalla semina. Sono state effettuate due campagne, una semina autunnale del 2023 e una primaverile del 2024, di tre ettari per ogni varietà, nella contrada Difesa Grande-Camporeale. Verranno fatte delle repliche di campo, in modo da comprendere quanto incideranno sulla produzione di betaglucano, variazioni climatiche e fertilità del terreno. Il prossimo step consisterà nell’estrapolare il betaglucano, attraverso tecniche di decorticazione. Il laboratorio dell’Università di Salerno ci consentirà di individuare quali varietà esprimono meglio il betaglucano. Individuare il tipo di avena che ci fornirà maggiori quantità di betaglucano, ci consentirà di addizionarla ad altre farine o semole, in modo che, ingerendone 3 grammi al giorno, come consigliato dall’EFSA (ndr, Autorità europea per la sicurezza alimentare), vengano mantenuti i giusti livelli di colesterolo nel sangue”.                                                                                                                                           Stanislao Pellino, responsabile commerciale Padana Sementi per la Campania, che ha fornito le due varietà coltivate, Luna e Insigna, ha evidenziato come l’Unione europea sia tra i principali produttori mondiali di avena. Nel 2024 in Italia ne sono stati coltivati circa 95.000 ettari, di cui oltre il 50% (66.548 ha), al Sud. In Campania, stando ai dati ISTAT, sono stati coltivati ad avena 9.764 ettari, 5800 dei quali in provincia di Avellino.                                                                                                                                                                                                 Michele Ciasullo, medico, ha evidenziato come ci si trovi in una vera e propria emergenza di salute, con  un’attesa di vita alla nascita, che in Campania è di due anni inferiore alla media nazionale: 82 anni invece di 84. La Regione inoltre, è al primo posto per le morti legate alle malattie cardiovascolari (infarto ed ictus) e cancro e l’Irpinia, conferma tristemente il dato. “Le cause principali sono il colesterolo alto (LDL) che provoca l’aterosclerosi, la vita sedentaria, l’obesità, il diabete, il fumo, lo stress. Se da una parte c’è la genetica, nel contempo bisogna tenere presente che l’accorciamento della vita è dovuto anche agli errori che commettiamo, sia individualmente che collettivamente. La dieta mediterranea è stata quasi dimenticata, a partire dal salutare consumo di olio di oliva, e a seguire, frutta e verdura. Siamo diventati genotipo-risparmiatori, cioè non consumiamo ciò che mangiamo, ingeriamo molte più calorie di quelle che consumiamo, avendo costruito uno stile di vita di apparente benessere, che in realtà è nocivo: mangiamo troppo e ci muoviamo troppo poco. È necessario diffondere una cultura di prevenzione unita a una buona comunicazione alimentare, che aiuti ad evitare gli errori che portano ad ammalarsi: molti non sanno di sbagliare, né quanto costerà l’errore che stanno commettendo, ad esempio, ingerendo molti zuccheri. Il diabete, malattia per la quale si è a rischio se l’indice glicemico (la velocità con la quale un alimento passa nel sangue) è superiore a 2,5 comporta il danneggiamento dei nervi, dei vasi sanguigni, e aumenta il rischio di infarto, ictus, malattia renale e perdita della vista. Per scongiurare il rischio diabetico, bisogna mangiare alimenti a basso indice glicemico, che non creano cioè il picco glicemico (innalzamento degli zuccheri nel sangue, che a sua volta costringe il pancreas a produrre insulina per eliminare il glucosio in eccesso). I betaglucani, amici del cuore, ritardano lo svuotamento gastrico e rallentano lo svuotamento intestinale, contribuendo al senso di sazietà, rallentano l’assorbimento di alcuni nutrienti (ad es. zuccheri e grassi), riducono l’assorbimento e la produzione di colesterolo, in particolare quello cattivo (LDL), riducono il picco glicemico dopo un pasto, favoriscono l’incremento dei bifidobatteri e ostacolano la proliferazione dei batteri patogeni”.                                                                                                                                                                           Emilio Gambacorta, già docente agronomo presso l’Università di Potenza, ha evidenziato come sia fondamentale la formazione nei giovani, affinché si crei consapevolezza che, produrre ciò che si porta in tavola rispettandone le vecchie caratteristiche, non solo è salutare, ma consente di portare avanti con orgoglio le bio tradizioni dei nostri territori, di cui tornare ad essere protagonisti. “Siamo figli dei nostri territori, perciò mi piacerebbe creare un distretto di qualità in cui coltivare prodotti benefici per la popolazione che li abita, senza correre dietro alla quantità, ma privilegiando la qualità, ovvero tutto ciò che è presente in un prodotto e ne esalta la condizione fisiologica”.

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Attualità

Il Servizio Sanitario Nazionale è in sala di rianimazione

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Il Sistema Sanitario Italiano (SSN) è in sala di rianimazione, 4,8 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi, per 2,5 milioni di cittadini il motivo principale è l’aumento della spesa sanitaria del +10,3% mentre la prevenzione è scesa del -18,6%. L’ISTAT e la fondazione Gimbe fotografano la gravità della situazione e collegano il collasso del SSN alle lunghe liste di attesa, alla chiusura degli ospedali, alla riduzione dei posti letto, alla ridotta dotazione organica del personale, in particolare, nel Meridione nonché alle risicate risorse finanziarie messe in bilancio dal governo. Nelle regioni Meridionale il SSR è afflitto da endemici piani di rientro dovuti al deficit finanziario che comporta la riduzione dei servizi, l’aumento dei ticket e la migrazione sanitaria verso le regioni del Nord. Inoltre il personale è afflitto da doppi turni continuativi e notturni durante il periodo delle vacanze estive ed è oggetto di ripetute aggressioni. Il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, dichiara: “che la tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno che i principi fondamentali di universalismo, equità e uguaglianza sono stati traditi”, inoltre prosegue; “in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne disagiate” (7° rapporto Gimbe, 8 ottobre 2024 il Sole 24 Ore, Sanità24). Fioriscono le assicurazioni private sanitarie ed i reparti di pronto soccorso privati con servizi a pagamento, la ricchezza è il viatico per ottenere cure tempestive ed efficienti, diversamente sei destinato all’oblio e alla morte prematura.

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Legge Calderoli sull’autonomia differenziata, perché No: conosciamola meglio-SPECIALE SECONDA PARTE-

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Consegnate le firme in Cassazione, si attendono gli esiti per poter procedere con il referendum

Il 26 giugno è stata promulgata dal Presidente della Repubblica la legge n.86/2024 sull’autonomia differenziata, che consente alle Regioni di chiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie, comprese le tre di sua specifica competenza, ovvero: Organizzazione della giustizia di pace, Norme generali sull’Istruzione, Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Passerebbero in esclusiva competenza della Regioni, queste materie oggi a legislazione concorrente (di comune competenza di Stato centrale e Regioni): Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; Commercio con l’estero; Tutela e sicurezza del lavoro; Professioni; Tutela della salute; Ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; Alimentazione; Ordinamento sportivo; Governo del territorio; Autostrade, porti e aeroporti civili; Reti (grandi) di trasporto e di navigazione; Produzione, trasporto e distribuzione dell’energia; Protezione civile; Valorizzazione dei beni culturali e ambientali, Promozione e organizzazione di attività culturali; Previdenza complementare e integrativa; Ordinamento della comunicazione; Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.   

Composta da 11 articoli, la legge Calderoli sarebbe finalizzata ad attuare l’articolo 116 (terzo comma) della Costituzione, che prevede la possibilità di attribuire alle Regioni a statuto ordinario che lo richiedano, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con legge dello Stato. Le Regioni potranno concordare con il governo la “devoluzione” di competenze e risorse pubbliche, redistribuite verso i territori che lo richiederanno, con la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale, per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento.

I principali articoli

L’articolo 1, in maniera contraddittoria, indica finalità e principi generali, citando i “princìpi di indivisibilità e autonomia in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze, idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione […]”. Il comma 2 precisa che l’attribuzione dei poteri è subordinata alla determinazione dei Lep, Livelli essenziali di prestazioni, livelli minimi di servizi che “devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale” (art. 117 Cost. secondo comma, lettera m).                                                                                                                                 

Quattordici le materie definite dai Livelli essenziali di prestazioni, la cui determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, sarà stabilita attraverso una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. Entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della legge, il Governo dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep.

L’art. 2 stabilisce la procedura per le intese tra lo Stato e le Regioni richiedenti. Iter alquanto farraginoso: la Regione interessata, ascoltati gli enti locali, potrà chiedere allo Stato l’autonomia in una o più materie o anche soltanto in ambiti di materie. L’atto dovrà poi essere trasmesso al Presidente del Consiglio e al Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, che, “acquisita entro sessanta giorni la valutazione dei Ministeri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell’individuazione delle necessarie risorse finanziarie da assegnare ai sensi dell’articolo 14 delle legge 5 maggio 2009, n. 42, avvia il negoziato con la Regione richiedente ai fini dell’approvazione dell’intesa […]”. “Ai fini dell’avvio del negoziato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, tiene conto del quadro finanziario della Regione”.                   

Avviato l’iter, Stato e Regioni dovranno giungere ad un accordo entro cinque mesi ed indicare durata e scadenza delle intese, che potranno durare dieci anni ed essere rinnovate, o terminare prima, con un preavviso di almeno un anno da parte dello Stato, che ne delibera la cessazione: “lo Stato, qualora ricorrano motivate ragioni a tutela della coesione e della solidarietà sociale, conseguenti alla mancata osservanza, direttamente imputabile alla Regione sulla base del monitoraggio di cui alla presente legge, dell’obbligo di garantire i LEP, dispone la cessazione integrale o parziale dell’intesa, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere”.

L’articolo 3 incarica il Governo ad
individuare i Lep e i relativi costi
e fabbisogni standard, per definire i quali, la legge di Bilancio 2023 ha
creato una Cabina di regia presieduta da Giorgia Meloni, con delega al ministro
Calderoli. Il termine dei lavori era previsto a fine 2023, ma è stato esteso di
un anno con il decreto Milleproroghe. Entro due anni dall’entrata in vigore della
legge, il Governo dovrà adottare uno o più decreti legislativi, attenendosi ai
princìpi e criteri direttivi della legge 29
dicembre 2022, n.197.                                                                                                                                                                                                                                   
L’art. 4 subordina il “trasferimento delle funzioni con le relative
risorse umane, strumentali e finanziarie soltanto dopo la determinazione dei
Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese
disponibili nella legge di bilancio. Qualora
dalla determinazione dei Lep […] derivino nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo
successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di
stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli
essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le
Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità
di trattamento tra Regioni, coerentemente con gli obiettivi programmati di
finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”.
L’art. 11, oltre ad estendere la legge anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, salvaguarda l’esercizio di potere sostitutivo del Governo, il quale potrà sostituirsi a
Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni, se si dimostreranno inadempienti
su trattati internazionali, normativa comunitaria, sicurezza pubblica, tutela
giuridica ed economica e non garantiranno i livelli essenziali. I Lep dovranno
anche essere aggiornati periodicamente: la Corte dei Conti dovrà riferire
annualmente alle Camere sui controlli effettuati, in particolare sulla
congruità degli oneri finanziari conseguenti al trasferimento di competenze
nell’ambito del regionalismo differenziato.

Aumento dell’efficienza o cessazione della solidarietà?

La legge Calderoli sembra più un machiavellico disegno
disgregatore simile a una bomba ad orologeria, per dirla con il sito
Carteinregola, della cui pericolosità, in pochi sono consapevoli. Le Regioni che finora hanno rivendicato un
maggiore protagonismo amministrativo, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sono
tra le più ricche del Paese e dunque quelle che ne gioverebbero maggiormente. E
che ne sarà delle altre?                                                                                              
                                                    Il nodo
dei Lep                                                                                                                                                                                                           
Sullo spinoso argomento dell’autonomia, anche i governi precedenti
hanno fatto la loro parte: stendendo un velo
pietoso su quel centro-sinistra che nel 2001, assecondando le spinte
federaliste derivanti dalla vittoria della Lega, riformò il Titolo V della
Costituzione, tentativi di approvare il Ddl sull’autonomia, ci sono stati anche
nei Governi Gentiloni, e più di recente, in quelli Conte-uno e due, naufragati
per non essere riusciti a risolvere l’ostacolo dei Lep, tema di non facile soluzione. La
conditio sine qua non della riforma dunque, sembrerebbe subordinata alla necessità di
assicurare nell’intero territorio nazionale l’erogazione dei medesimi livelli
qualitativi dei diritti civili e sociali, nel rispetto
dell’art.119 della Costituzione, che sancisce la promozione dello sviluppo
economico, della coesione e della solidarietà sociale, finalizzati a rimuovere
gli squilibri economici e sociali. Sulla
carta, i Lep dovrebbero garantire l’uniformità dei servizi da Nord a Sud,
ma nei fatti dipenderà dai finanziamenti che lo Stato centrale potrà mettere a
disposizione per far convergere qualitativamente prestazioni, ancora assai
diversificate.                                                                                                 

Studiosi, politici, enti, associazioni, hanno espresso perplessità e preoccupazioni
qualora la legge Calderoli venisse applicata. Luca Bianchi, direttore della SVIMEZ (Ass. per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha evidenziato come: “per realizzare la
compiuta armonia, occorre che i principi introdotti dall’art. 119 siano resi
pienamente operativi, il che non è, visto che proprio la legge attuativa (42
del 2009), che mira a regolare il federalismo fiscale, non è stata mai, da
allora, attivata. L’autonomia differenziata delineata dal Governo espone dunque l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione
delle politiche pubbliche”. Secondo l’economista Paolo Balduzzi, al momento non ci sono studi, né esiste: “un criterio oggettivo o tecnico che permetta di stabilire se una
Regione sia o meno, in grado di fare meglio dello Stato negli ambiti di competenze che saranno trasferiti. Pertanto, prima di un qualunque ulteriore avanzamento legislativo, appare imprescindibile introdurre strumenti di misurazione oggettiva dei risultati storici delle varie Regioni nelle diverse materie”.

Nord contro Sud?                                                                                                                                                  Con l’autonomia, si rischia che la distanza tra il Nord e il Sud diventi incolmabile, mentre l’Italia sarà divisa in una babele di staterelli con leggi diverse, i cui “governatori” su molte materie potranno decidere i destini dei territori senza nessun ente sovraordinato che faccia da contrappeso e garante. E diviene plausibile la realizzazione di una Macroregione del Nord, a cui potrebbe fare da contraltare anche una Macroregione del Sud, col risultato di una contrapposizione.                                                                                                                                                         I fautori dell’autonomia differenziata sostengono che la maggiore responsabilizzazione delle Regioni possa fungere da volano verso un aumento dell’efficienza: in realtà, se la devoluzione partirà senza aver sanato i Lep, e, per com’è articolato il Ddl Calderoli, pare assai difficile arrivarci, tanto più se si pensa che in ventitré anni dalla riforma costituzionale che ha introdotto l’autonomia, non è mai stato fatto, finirà per aumentare le già innegabili disparità sociali e territoriali del Paese. Chi ha già di più, otterrà di più e anzi, considerando che la Regione potrà trattenere il gettito fiscale, che pertanto, non sarà più destinato alla creazione di servizi nazionali, altro che principi di solidarietà Costituzionale, piuttosto autonomia privilegiata o “secessione dei ricchi”!                              

Fabio Panetta, governatore di Bankitalia ha recentemente (19/09) affermato che il divario territoriale Nord-Sud: “non può essere colmato con misure di natura assistenziale e con una mera azione redistributiva, ma richiede politiche volte a stimolare lo sviluppo delle regioni meridionali”. Ha richiamato più volte politiche sulle infrastrutture strategiche, porti, aeroporti, ferrovie, comunicazione, digitalizzazione, energia, sottolineando che se il Sud non cresce, il Paese rimane al palo.

Sanità, sistema in crisi che imploderebbe definitivamente                                                                                                                                                                                           Il Sistema sanitario nazionale pubblico, in evidente fase di smantellamento a favore del settore privato, soffre della carenza di trentamila medici e settantamila infermieri, a cui si aggiunge la crescente emigrazione del personale verso l’estero, dove percepisce stipendi molto più alti.                                                                                                                                                                 Per comprendere meglio cosa potrebbe accadere, si pensi alla disastrosa gestione della pandemia da Covid-19 della regione Lombardia guidata da Attilio Fontana, che non è riuscita neanche a implementare un sistema efficace per la prenotazione dei vaccini, se non con l’ausilio del sistema nazionale di Poste Italiane. Con una sanità regionale, chi si trova provvisoriamente in altre regioni, potrebbe avere grandi difficoltà anche nel farsi prescrivere e acquistare le medicine: pertanto già il sistema di prescrizione, non potrebbe diventare di esclusiva competenza regionale.                                                                                                                                                    La Fondazione Gimbe, presieduta da Nino Cartabellotta, ha evidenziato le sperequazioni tra la sanità del Nord e quella del Sud, sottolineando come la carenza di personale che riguarda soprattutto il Sud, andrebbe ad aumentare allorquando, medici e personale sanitario, emigrassero verso le regioni più ricche. L’autonomia differenziata darebbe il “colpo di grazia al sistema sanitario nazionale, aumentando le diseguaglianze regionali e legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.                                                                                                                                                             Trasporti                                                                                                                                                         I contrari all’autonomia sottolineano come i trasporti gestiti dagli enti locali siano quelli più inefficienti. Per non parlare dei problemi che l’autonomia creerebbe a quei centri urbani situati in una regione, ma che ruotano attorno a città di altre regioni. I favorevoli ritengono che le regioni con un maggior controllo sulle spese, realizzerebbero le infrastrutture con maggior efficienza e garantirebbero più servizi, assecondando le esigenze della popolazione.                                                                                                                                    Istruzione                                                                                                                                                              Ancora Luca Bianchi (SVIMEZ): “L’autonomia prospettata dal Ddl Calderoli colpirebbe gravemente il sistema scolastico con un vero processo separatista, in cui si avrebbero programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati”. Noi aggiungiamo che, considerando i tentativi in corso di riscrivere la Storia, anche i programmi e i testi scolastici risentirebbero dei governi locali, che potrebbero voler imporre la loro “visione”.                                                                                                                                                  La sociologa Chiara Saraceno sostiene come: “non sarebbe possibile lasciare l’attuazione del compito costituzionale della scuola alle diverse disponibilità e scelte locali, perché già ora esiste una differenziazione ingiusta delle risorse educative pubbliche offerte sul territorio nazionale, non solo tra regioni, ma anche all’interno delle stesse regioni e città”.                                                                                                             Un moltiplicatore dei divari territoriali                                                                                                                       Anche la CGIL ha espresso netta contrarietà al gran pasticcio della legge 86: “In un Paese che già soffre di un livello drammatico e crescente di disuguaglianze sociali e di divari territoriali, l’ultima cosa che serve è un’autonomia differenziata che allarghi ulteriormente questi squilibri. Si vuole attuare il “regionalismo asimmetrico”, prima di aver realizzato il “regionalismo simmetrico”, che non può prescindere da un’effettiva perequazione tra territori con maggiore e minore capacità fiscale.                                                                                                                          Ambiente salubre, un fondamentale diritto civile e sociale                                                                                                                             Il WWF Italia, teme il “fondato rischio che l’autonomia differenziata possa intaccare l’unità del Paese”, rimarcando come: “il regionalismo differenziato non possa compromettere le garanzie di tutela ambientale, che devono invece valere in tutto il Paese evitando situazioni a macchia di leopardo. La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi costituisce la tutela del presupposto stesso della vita umana, che dipende in maniera assoluta dai servizi ecosistemici (acqua, ossigeno, assorbimento di carbonio, ecc.) che la natura fornisce”.

Depositate in Cassazione le firme per il referendum abrogativo

                                                                                                                

Il 5 luglio presso la Corte di Cassazione è stato depositato il quesito abrogativo della legge 86:  “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n.86 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art.116, terzo comma, della Costituzione?”.                                                                                    

Per promuovere il referendum abrogativo sono state raccolte circa 1milione e trecentomila firme: ne sarebbero bastate 500mila! Un risultato straordinario, come ben ha evidenziato il costituzionalista Massimo Villone, considerando che sono state raccolte in una torrida estate. Il 26 settembre sono state consegnate in Cassazione dai leader dei partiti di opposizione e dal Comitato promotore. Sono stati inoltre presentati ricorsi alla Consulta da parte delle Regioni: Campania, Puglia, Toscana e Sardegna.  

La Corte Costituzionale dovrà confermarne l’ammissibilità del referendum entro il 20 gennaio 2025, dopodiché, il Governo e il Presidente della Repubblica potranno indire il referendum, da svolgersi tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025.                                                                                                                                             

 L’inaspettato successo della raccolta delle firme, fa ben sperare anche in un recupero di quella coscienza civile che talvolta sembra smarrita o quantomeno, assopita, di certo a causa dello squallido mercato al ribasso di buona parte della politica degli ultimi decenni. Il popolo ha il diritto-dovere di riprendere fiduciosamente ad esercitare la sua sovranità attraverso il potere del voto, per dare concretezza alle firme raccolte e scongiurare la frantumazione del nostro Paese. È fondamentale andare a votare, superare il 50 per cento più uno degli aventi diritto perché il referendum sia valido: bisogna far sentire la propria voce, perché l’Italia rimanga unita, libera e giusta.

Fonti: Senato, corriere.it, ilsole24ore.com, lastampa.it, Ilfattoquotidiano, ilfattoquotidiano.it, wired.it, ansa.it, carteinregola.it, lexplain.it, avvenire.it, diritto.it, quotidiano.net, ilMattino, Lavoce.info, laRepubblica, repubblica.it, quotidianosanità.it, quotidianodelsud.it, orticalab.it

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

                                                                                                                                                

                                                                                                                                                                            

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