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L’agabbadora, artefice di vita, guarigione e buona morte, al Museo Galluras

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Sono una che aiuta a morire: l’ultimo intervento è stato unmese fa. Un’anziana femina agabbadora, figura sarda realmente esistita, nel marzo 2003 lo confessava a un prete in un paesino vicino a Bosa. Ce lo racconta (anche sulla sua pagina Facebook) Pier Giacomo Pala, ideatore, direttore e proprietario del Museo etnografico Galluras a Luras, appassionato di tradizioni popolari: “Fin dai 12 anni raccoglievo tutti i reperti etnografici che trovavo e li conservavo, finché nel 1981 non ho acquistato il palazzetto che oggi ospita il museo”. Ed è nello stesso anno che Pier Giacomo scopre quasi casualmente dell’esistenza della agabbadora: “Un anziano amico di Luras, in una dellenostre consuete passeggiate, mi confidò che da bambino aveva sentito raccontare dal nonno, di una donna che si occupava di porre fine alle sofferenze dei malati terminali colpendoli alla testa con un martello in legno. Quella donna aveva vissuto in uno stazzu (casa della campagna gallurese) di Luras. Da quel momento cominciai a interrogare gli anziani di Luras, ma sembrava che nessuno sapesse niente. In realtà, sapevano eccome, ma non se ne parlava, perché farlo avrebbe comportato un’assunzione di responsabilità: essere testimoni o complici di un omicidio”. Dallo spagnolo vamos acabar (andiamo a terminare), l’agabbadora era una donna che, su richiesta dei parenti, metteva fine alle atroci sofferenze di malati terminali irreversibili, talvolta divenuti “solo” una bocca in più da sfamare… Ancora Pala: “Eticamente sa agabbadora non ammazzava, ma poneva fine alle sofferenze. È una pratica antichissima, che si pensa risalga al prenuragico ed era una soluzione libera e naturale, poiché a quei tempi vi erano giunti senza essere condizionati dalle istituzioni. Oggi invece, sull’eutanasia non si fanno passi avanti: si è bloccati dalla Chiesa, dalle istituzioni, dalla politica”. E la Chiesa lo aveva accettato? “La Chiesa ha accettato questo, così come altri riti pagani: fingeva di non sapere,perché cercava di assecondare le necessità del popolo,per fare più proseliti possibile. Dell’argomento si parla nei sinodi diocesani, ma non è stato mai adottato alcun provvedimento.” La ricerca di Pier Giacomo, l’ha portato a rintracciare soltanto a Luras, in Gallura (nord-est Sardegna), ben 10 donne che praticavano la missione di “finitrici”, risalenti al periodo che va dalla metà dell’Ottocento ai primi anni Settanta del Novecento. “Sono risalito a chi praticava questa missione, anche se nessuna agabbadora era più in vita. Durante la ricerca ho scoperto che ricopriva anche il ruolo di mastra de paltu, cioè levatrice, aiutava anche a nascere, nonché a guarire. Scoprire dove queste donne avessero abitato non è stato semplice, poiché molte delle case erano state ristrutturate o demolite: dopo 12 anni di ricerche, nel 1993, un giorno notai che in una delle dimore di cui mi aveva parlato il mio anziano amico, stavano demolendo dei muretti a secco. Mi avvicinai sconsolato, perché un altro pezzo di memoria scompariva, visto che quei muretti risalivano alle chiudende emanate nel 1820. Era la pausa pranzo, gli operai non c’erano e osservai che una delle pietre in granito del muretto differiva dalle altre: era rettangolare, tenuta da un cuneo nella parte alta. Incuriosito, tirai il cuneo, la pietra cadde e nella nicchia che chiudeva, vidi il martello: lo presi e scappai. Solo dopo una decina di minuti mi resi conto di quel che si era realizzato, la conferma alla mia lunga ricerca.” Fu il primo martello ritrovato? “L’unico e solo al mondo, riconosciuto. Oltre al mazzolu, presso il museo c’è un raro modellino di giogo (serviva per collegare i due buoi tra di loro) che ha almeno 150 anni, a giudicare dalla lavorazione del legno. Il giogo era ritenuto un oggetto sacro che nessuno poteva distruggere, per il significato che rivestiva: lavoro, grano, farina, pane. Secondo la credenza popolare, chi lo avesse fatto, avrebbe distrutto lavita e ciò gli avrebbe causato una morte di stenti. Il modellino veniva collocato sotto il cuscino del malato per tre giorni e tre notti: se il malato moriva, voleva dire che aveva distrutto un giogo, che però lo aveva liberato. Se invece non moriva, significava che il suo stato terminale era naturale e si era autorizzati a chiamare l’agabbadora. Quello che ho nel museo, fu utilizzato nello stazzo in cui lo ritrovai, per un anziano che, dopo averlo tenuto per tre giorni sotto il cuscino, non era morto, così avevano dovuto chiamare l’agabbadora.                                                                                                                                                                     Il mazzolu di olivastro a forma di martello, è esclusivo della Gallura, mentre in altri paesi sardi è un semplice bastone chiamato mazzoccu mazzocca. Una testimonianza che ho raccolto a Cuglieri (centro Sardegna), parla di un oggetto che aveva la forma di un grosso pestello di circa 40 cm. A forma di martello lo ritroviamo in Francia, dove veniva chiamato il “martello benedetto” e conservato nelle chiese, a testimonianza dicome la Chiesa francese riconoscesse e tollerasse la pratica della “buona morte”. A conferma di ciò, alcuni studiosi del Settecento e dell’Ottocento, sostengono che a utilizzare il martello, fossero proprio i preti”.                                                                                                                                                   Il museo Galluras, unico in Sardegna, oltre ad un’antologia sulla figura della agabbadora, della quale sono esposti anche gli abiti tipici, offre un’immersione nella storia antropologica della Gallura, con gli strumenti della civiltà contadina per i lavori della campagna, la vinificazione, l’agricoltura e la pastorizia, fino alla lavorazione del sughero e della lana. 

Nel 2021 nonostante la pandemia, le visite al museo sono più che raddoppiate rispetto al 2020: circa 15.000 persone.È sempre aperto e, per visitarlo, basta chiamare il n. 368 3376321 o scrivere una mail a: info@galluras.it.

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Tragedia ad Ariano, poliziotto si toglie la vita

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Ariano Irpino – Una tragedia ha scosso la comunità arianese e il Commissariato di Polizia del Tricolle. Un giovane agente, in servizio presso il reparto volante, è stato trovato senza vita all’interno di un casolare di campagna alla periferia della città.

A fare la drammatica scoperta è stata la moglie, che ha immediatamente allertato i soccorsi. Sul posto sono giunti i sanitari del 118, i carabinieri, la polizia e i vigili del fuoco, ma per l’agente non c’era ormai più nulla da fare. Secondo una prima ricostruzione, il poliziotto si sarebbe tolto la vita con la pistola d’ordinanza.

L’uomo era molto stimato all’interno del Commissariato di Ariano Irpino e considerato tra i più attivi del reparto volante. In più occasioni si era distinto per il coraggio e la professionalità dimostrati durante interventi delicati, ricevendo anche apprezzamenti ufficiali.

Sconosciute al momento le ragioni del tragico gesto che restano avvolte nel mistero. La Procura di Benevento ha aperto un’inchiesta e disposto gli accertamenti di rito per chiarire la dinamica dei fatti.

La notizia ha destato profondo dolore in città e tra i colleghi, che lo ricordano come persona garbata e professionale nel suo lavoro.

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Contributi sull’acquisto dei libri di testo, è possibile presentare domanda

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino informa che  è possibile presentare domanda per accedere  ai contributi sull’acquisto dei libri di testo, per l’anno scolastico 2025/2026.

Possono accedere al contributo gli alunni che frequentano le scuole secondarie di I e II grado dell’anno scolastico in corso 2025/2026 e appartenenti a famiglie con  reddito  non superiore al seguente  valore ISEE:

fascia I da e 0 a € 10.633,00   –   fascia II da € 10.633,00 ad € 13.300,00.

Il valore ISEE viene determinato ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159. Nel caso di valore ISEE pari a zero, pena l’esclusione dal beneficio, è necessario attestare e quantificare le fonti e i mezzi dai quali il nucleo familiare ha tratto sostentamento. Le risorse disponibili saranno destinate prioritariamente alla copertura del fabbisogno dei richiedenti con ISEE rientrante nella fascia 1. Qualora residuano risorse dopo la copertura totale del fabbisogno della fascia 1, le stesse saranno destinate alla copertura del fabbisogno dei richiedenti con ISEE rientrante nella fascia 2.

Gli interessati possono presentare domanda entro il  10 ottobre 2025, presso le Segreterie delle Scuole di appartenenza, utilizzando l’apposito modulo prestampato e allegando la dichiarazione ISEE in corso di validità.

Scarica qui il modulo per fare richiesta:

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Il Colonnello Angelo Zito nuovo Comandante Provinciale dei Carabinieri

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Il Colonnello Angelo Zito ha assunto l’incarico di Comandante Provinciale dei Carabinieri di Avellino, subentrando al Colonnello Domenico Albanese, destinato a Roma quale Capo Ufficio presso lo Stato Maggiore del Comando Generale dell’Arma.

46enne, originario di San Marzano di San Giuseppe (TA), il Colonnello Zito ha intrapreso la carriera militare nel 1998, frequentando i corsi regolari dell’Accademia Militare di Modena e della Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma, conseguendo la laurea in Giurisprudenza. È sposato e padre di due figlie.

Nel biennio 2003-2005 ha prestato servizio presso il Battaglione Carabinieri Allievi Marescialli e Brigadieri con sede a Velletri, ricoprendo i ruoli di Comandante di Plotone e di Compagnia. Successivamente ha assunto incarichi di crescente responsabilità in reparti territoriali ad alta complessità operativa: prima come Comandante del Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Palermo-San Lorenzo, impegnato in delicate attività di contrasto alla criminalità organizzata e al traffico di stupefacenti; poi, dal 2008, come Comandante della Compagnia Carabinieri di Patti (ME), in un territorio caratterizzato da fenomeni criminali di particolare rilevanza.

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