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Cronaca della vita rivoluzionata al tempo della didattica a distanza (DAD)

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Ore 7.50 – Figlio 1 è già in piedi, liceale di quinta, alle 8.15 ha il primo collegamento. Assonnato, con i capelli ormai ingovernabili, accende il computer e aspetta l’inizio del meeting con il docente di matematica. Oggi probabilmente ha l’interrogazione quindi gli tocca lo studiolo. Il ragazzo, Figlio 2, del primo superiore ha iniziato da meno di un mese a fare le lezioni live. Alle 9.00 ha la prima lezione di disegno e ha bisogno del tavolo della cucina, ma deve accontentarsi di usare il proprio smartphone. Il più piccolo, Figlio 3, seconda elementare, oggi deve collegarsi con la maestra, è la prima volta, deve usare il tablet. La connessione è talvolta lenta. Capita di non riuscire ad entrare nel meeting, oppure non si attiva la telecamera o non si sente l’audio. Il wifi di casa spesso si blocca e bisogna riavviarlo, ed è stato necessario cercare un’offerta per avere giga a disposizione e usare il cellulare per i collegamenti. La signora K non può neanche entrare in cucina per rassettare, la cameretta è preclusa perché c’è il grande, in camera da letto c’è ancora il marito perché questa notte ha dormito poco. Nello studio neanche a parlarne, sta pensando che occorrerà comprare un altro computer, appena dérogano la “zona rossa”. Da alcune settimane si è persa tra account e credenziali, piattaforme e lezioni asincrone e lezioni sincrone. Si è fatta uno schema e l’ha appeso vicino alla lista della spesa. Non ha ancora capito quando ci sono le lezioni asincrone che cosa deve fare: se aprire il registro elettronico e prendere visione, leggere sul gruppo Whatsapp dei genitori, ma non regge la lettura dei venti messaggi che precedono l’informazione che le interessa, oppure affidarsi alle informazioni più o meno precise dei figli, soprattutto di quelli minori. Intanto, in casa si vive in apnea per l’esame di maturità del Figlio 1, non si sa ancora molto sullo svolgimento, il ragazzo è disorientato e in ansia. Poi, c’è tutto il resto: i contagi, il lavoro, la preoccupazione di ciò che accadrà dopo e il senso di angoscia perché nessuno sa dire quando finirà tutta questa storia. Questa potrebbe essere la mattinata tipo di una famiglia arianese e non, di questi tempi. Tutto è iniziato dalle prime note MIUR sulla didattica a distanza, cioè dalla inattesa e repentina sospensione delle attività didattiche a seguito del decreto Conte che ha chiuso l’Italia per l’espandersi dell’epidemia ai primi di marzo. Da allora la scuola è stata travolta da una rivoluzione, mai immaginata, che ha tagliato di netto i ponti con la scuola che conosciamo tutti: di colpo gli strumenti di lavoro sono diventati i device, la rete internet, i software per la didattica a distanza anche dalla scuola dell’infanzia. Di colpo le famiglie si sono trovate a fronteggiare uno tsunami inatteso, inopportuno che ha colto tutti di sorpresa. Ogni scuola, e in alcuni casi ogni docente, ha agito secondo la propria sensibilità e spesso senza alcuna indicazione. La prima piattaforma ad essere utilizzata perché gratuita, è stata la famigerata Zoom.us statunitense, gratuita, abbastanza affidabile, immediata nell’uso per le funzionalità essenziali fino a quando non è emersa una falla nel sistema di sicurezza e sono esplose tutte le contraddizioni sulla privacy. Per alcuni giorni, molte scuole hanno rinunciato alle lezioni live. Gli istituti che da tempo avevano investito nell’innovazione puntando sulla formazione docenti, sull’uso del registro elettronico per un’efficace e tempestiva comunicazione con le famiglie, oltre alla richiesta di una piattaforma d’istituto, hanno potuto avviare subito un programma di “vicinanza” destinato agli alunni e studenti delle superiori. Le altre hanno stentato ad avviare i programmi di lezioni a distanza, puntando in prima battuta ad una didattica di tipo trasmissiva, cioè con l’indicazione di un argomento ed esercizi. L’app più frequentata e universale è stata Whatsapp, la più famosa e affidabile degli strumenti di messaggistica istantanea. È stato il primo mezzo di contatto che ogni docente ha attivato, assumendosi di fatto la piena responsabilità e quasi sempre con il consenso/assenso dei genitori. L’emergenza però, ha evidenziato da subito che veniva segnato per sempre uno spartiacque definitivo tra la necessità di avere a disposizione un bagaglio di competenze digitali e l’uso esclusivo della matita e del gessetto, che ancora molti si ostinano a pensare che bastino per insegnare. Insieme alla matita e al gessetto sono state accantonate per sempre metodologie di comfort, come la lezione esclusivamente frontale e la trasmissione lineare di saperi.

Nell’intervistare i dirigenti che per primi hanno avviato un programma di lezioni a distanza ad Ariano, è emersa subito la piena consapevolezza del carattere non esclusivamente emergenziale della DAD, ma della rivoluzione che si stava consumando con essa. Altra consapevolezza emersa già alla prima ora è che la didattica a distanza impone un processo di rinnovamento profondo, veloce, inarrestabile, che determina cambiamenti radicali e inevitabili nell’attività docente perché la DAD, non è la semplice trasposizione della lezione attraverso l’uso di una piattaforma, ma l’accelerazione di un processo di trasformazione, praticato da alcune scuole pilota in Italia, ma neanche mai immaginata per tutte le scuole di ogni ordine e grado. È cambiato il modo di insegnare: il docente, nel giro di pochi giorni, si è trovato di fronte ad una situazione mai immaginata prima, insegnare da remoto. Nelle prime indicazioni MIUR e nella convinzione di molti dirigenti, c’era l’idea che il docente dovesse rappresentare un riferimento e un baluardo di tipo psicologico e affettivo e che l’apporto didattico fosse passato in secondo piano, invece il perdurare dell’emergenza e l’affacciarsi della prospettiva a lungo termine del ricorso alla DAD, hanno evidenziato che l’attività docente si è modificata per sempre. Ogni insegnante deve reinventarsi, venuto meno l’impatto dell’attività in presenza. La relazione docente/discenti risulta stravolta e in qualche modo diminuita, dalla intermediazione del computer. Emerge in modo prepotente che la responsabilità individuale è l’elemento focale della nuova scuola con i discenti collegati da casa. La situazione, determinata dalla quarantena, ha acutizzato e talvolta fatto esplodere, tutte le differenze da quelle sociali a quello organizzative e programmatiche delle scuole. Di colpo è emerso che chi non ha device, competenze, disponibilità di tempo e spazi, è tagliato fuori dal diritto all’istruzione. Le famiglie deboli, economicamente e socialmente, hanno subito un duro contraccolpo perché è stato chiesto loro di accedere alla rete internet, di mettere a disposizione dei figli computer, tablet, smartphone, per continuare a studiare. Alcuni dirigenti, sulla scorta delle indicazioni del ministero, si sono attivati per trovare soluzioni e venire incontro alle famiglie che non avevano la disponibilità di mezzi e reti internet e hanno offerto i computer della scuola in comodato d’uso attraverso un’autocertificazione dei genitori e poi con l’acquisto di tablet e notebook, con i fondi statali. Se il virus non ha fatto sconti a nessuno: ricchi e poveri, famosi e anonimi, la DAD ha scoperto i nervi di una società diseguale e l’inadeguatezza della scuola, che non ha programmato e gestito l’emergenza. La didattica a distanza, ha fatto esplodere le differenze economiche, sociali, culturali: ha aperto una piaga. Toccherà all’efficienza della scuola colmare le differenze e prevenire la nuova forma di abbandono scolastico. La nuova scuola, quella che riaprirà a settembre, dovrà attrezzarsi con un capace sistema di monitoraggio del disagio “digitale”, psicologico, economico; dovrà dare risposte concrete in termini di sostegno alle famiglie con device, consulenza tecnica, formazione delle famiglie stesse; organizzazione delle lezioni in presenza integrate con lezioni a distanza di una parte degli alunni; programmi di monitoraggio e sostegno alle famiglie “deboli”; interventi per i disabili; certificazione della sicurezza sanitaria in aula. Questi sono solo alcuni degli aspetti del front line; altra cosa e non secondaria: la formazione docente, che dovrà riscrivere in parte il curricolo professionale e studiare nuove strategie didattiche in luce di modalità di lavoro a distanza. Serviranno nuove rubriche valutative basate essenzialmente sulla responsabilità individuale e nuovi patti di corresponsabilità con le famiglie. Il sistema scuola reggerà? Saremo in grado di dare un’istruzione adeguata alla generazione post millennials che ha subito la pandemia?

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Direttivo provinciale di Forza Italia allargato a sindaci ed amministratori

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Sì è tenuta ieri sera all’Hotel Belsito di Avellino la riunione del direttivo provinciale di Forza Italia, allargata a sindaci ed amministratori.  

Un confronto lungo e articolato dal quale è innanzitutto emerso unanime e convinto sostegno alla candidatura del vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, alla presidenza della Regione Campania per la coalizione di centrodestra.

In primo luogo nelle parole del Segretario provinciale, Angelo Antonio D’Agostino, il convincimento che Forza Italia, in Irpinia come nel resto della regione, sarà il traino della coalizione risultando determinante per una vittoria che va costruita al centro, recuperando voto moderato.

La missione di Forza Italia, casa del popolarismo, è questa. Una missione alla portata, alla luce del grande lavoro di radicamento fatto in questi anni e degli enormi spazi che la candidatura di Roberto Fico per il centrosinistra, lascia sguarniti proprio nell’elettorato centrista. Forza Italia può e deve colmare quello spazio.

Venendo alla costruzione della lista, nel corso della discussione sono emerse molte disponibilità dai territori.  Profili diversi che nei giorni a venire saranno valutate nella massima condivisione, perché l’obiettivo di tutti deve essere quello di mettere in campo la migliore compagine possibile, connubio tra competenze e radicamento.

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Cisal, Picone: più attenzione a sicurezza dei lavoratori, anche in Irpinia troppi incidenti

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“Occorrono interventi concreti per garantire la sicurezza; le buone intenzioni o gli slogan non servono. Gli infortuni sul lavoro sono e restano una intollerabile emergenza, in Irpinia e Campania, come nel resto del Paese”. Ad affermarlo è Massimo Picone, coordinatore provinciale della Cisal di Avellino e commissario della categoria Metalmeccanici.

“I dati ufficiali – prosegue il dirigente sindacale – ci dicono che il fenomeno è in crescita al Sud, che registra il più alto tasso di incidenti mortali sui luoghi di lavoro. Ma in generale aumentano infortuni e decessi in itinere, nel percorso casa-luogo di lavoro. Una tendenza che si avvertiva già negli ultimi anni. Nei primi otto mesi del 2025 l’incremento è stato dell’8,8 %, 186 vittime, soprattutto del comparto industriale e dei servizi, 15 in più rispetto al 2024 e più o meno un quarto dei decessi complessivi.

Su questo versante ad incidere sono l’espansione dei bacini di pendolarità, l’aumento delle distanze tra abitazione e luogo di lavoro, la debolezza del trasporto pubblico e il conseguente uso del mezzo privato, tutti elementi che accrescono l’esposizione al rischio.  

In aumento anche le malattie professionali, quasi del 10%, rispetto all’anno precedente.

La sicurezza viene considerata purtroppo ancora soltanto un optional, all’interno di un quadro complessivo deprimente: precarietà, i salari più bassi d’Europa, l’uso sistematico di esternalizzazione del lavoro, crisi profonda di alcuni comparti come l’automotive, che in Irpinia costituisce una filiera produttiva importante per l’economia e per l’occupazione, ma su cui pendono molti problemi che ne compromettono la prospettiva”.

“E’ necessario pertanto – conclude Picone – che si investano più risorse sui controlli, aumentando il numero di ispettori che operano sul territorio, ma vanno modificati anche i processi produttivi. C’è bisogno inoltre che le politiche di sicurezza aziendale si integrino con misure di prevenzione estese agli spostamenti dei lavoratori, promuovendo iniziative coordinate in materia di mobilità sostenibile, riorganizzazione dei tempi di lavoro e rafforzamento delle infrastrutture di trasporto”.

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La disumanità dei governi imbelli

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È caduto il velo delle menzogne, la Flotilla mette a nudo la disumanità dei governi imbelli, interessati a mantenere attivo e florido il mercato delle armi, riconvertendo quello delle automotive, in grave crisi in Europa. La Meloni aveva criticato l’azione della Global Sumud Flotilla reputandola inopportuna e affermava: “è una fase nella quale tutti quanti dovrebbero capire che esercitare una responsabilità, attendere mentre c’è un negoziato di pace, è forse la cosa più utile che si può fare per alleviare le sofferenze dei palestinesi” e riferendosi alla Flotilla, proseguiva e rincarava la mano: “ma forse le sofferenze del popolo palestinese non erano la priorità” (Ansa e L’Espresso1 ottobre 2025).

Eppure, nei confronti di Israele, la Meloni non esprime alcuno sdegno diversamente manifestato per la Flotilla. Dimentica che era un’azione umanitaria, svolta da persone di diversa nazionalità, disarmate, indirizzata a creare un corridoio sicuro al fine di alleviare le sofferenze del popolo Palestinesedovute alla mancanza di cibo e di medicinali,provocate dalla disumanità del governo genocidario di Israele. Nulla potrà rimanere come prima, la Flotilla ha avuto il merito di aver attirato l’attenzione mediatica su ciò che accade a Gaza e sulla pulizia etnica operata da Israele. Atto esecrabile e frutto avvelenato che affonda le sue radici nel lontano 1948, costellato di odio e morte che avvelena l’esistenza degli israeliani e dei palestinesi, senza soluzione di continuità e senza una via d’uscita. Sin ad oggi, l’UE, gli USA, la Comunità Internazionale non sono riusciti a proporre una pacifica ed unitaria soluzione al tema dei due Stati e dei due popoli. Le immagini di Gaza distrutta, delle donne che piangono i bambini morti per fame o colpiti dalle bombe, hanno ferito la carne viva di milioni di persone chespontaneamente sono scese in piazza gridando lo slogan: “blocchiamo tutto”. Spero che, tutto ciò indurrà i singoli governi e la Comunità Internazionale a rimettere al centro dell’agenda politica il bene comune, oscurato dai ciechi nazionalismi e dalla ricerca del benessere personaleedonistico. I popoli hanno indicato la strada: si dia voce e speranza al senso di umanità, si dia voce e dignità ai popoli del Sud del mondo.

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