Attualità
Covid tra varianti e vaccini

Casi di Covid tra i vaccinati.
Le notizie, confuse, contrastanti, si diffondono sui social creando scalpore, alimentando le opinioni dei no-vax sulla inutilità dei vaccini. Dopo oltre 6 mesi dalle prime inoculazioni si può trarre i primi bilanci leggendo i dati ufficiali forniti dalle autorità sanitarie.
Il risultato è inequivocabile: i vaccini nel mondo reale funzionano come nei test, sono efficaci nel prevenire il contagio e, quando il Sars-CoV19 riesce a superare la loro barriera, scongiurano nella maggior parte dei casi le forme gravi o letali di infezione.
Anche tra i vaccinati si verificano casi di positività.
Vero. Nessun vaccino infatti protegge completamente e le percentuali di protezione mai sono state dichiarate del 100 per cento.
Ci si può ammalare di Covid anche dopo essersi vaccinati. Soprattutto se si è anziani e immunodepressi, ma, va detto chiaramente che si tratta di una eventualità assai remota.
La globalità dell’infezione da Sars consente lo scambio di studi e informazioni scientifiche tra i Paesi. Dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dalla Francia all’Italia, così tra i paesi del Medio Oriente all’Asia.
I dati americani: pochissimi i ricoveri nei vaccinati
L’analisi più completa in materia è quella condotta finora dall’Agenzia nazionale sanitaria degli Stati Uniti (Cdc). L’ultimo rapporto della Cdc, aggiornato al 28 giugno, riporta più di 154 milioni di cittadini americani completamente vaccinati. Il monitoraggio sanitario nei sei mesi (la campagna vaccinale negli Usa è partita a metà dicembre) ha registrato solo 4.686 casi di ricovero o di morte in persone vaccinate. In particolare, le vittime tra i vaccinati sono state 879, di cui 223 per cause probabilmente non legate al virus.
Il dato dei decessi in maggio: si sono registrati oltre 18mila morti ‘’per il coronavirus’’ ma solo 150 tra soggetti vaccinati.
La marcata diminuzione dei contagi si osserva a partire da 28 giorni dopo la prima dose e ancora di più dopo la seconda dose.
Gli effetti conseguiti dalla vaccinazione in Italia si uniforma ai dati provenienti da questi studi americani
Ha preoccupato e desta ancora apprensione la situazione nel Regno Unito, a causa del boom di contagi in una popolazione in cui l85% ha ricevuto la prima dose e il 63% entrambe le dosi.
La ‘spiegazione’ è stata attribuita alla quasi totale prevalenza della più contagiosa variante Delta. Sono stati segnalati 92mila casi di «Delta» tra febbraio e giugno, di essi solo 7.235 avevano completato la vaccinazione. Dunque la netta maggioranza dei contagiati non era immune. Non è aumentato il numero di ricoverati.
In tutte le Regioni italiane si registra meno pressione sugli ospedali.
A 2 luglio in Italia sono state somministrate 52 milioni e 112 mila dosi. Ne sono state consegnate quasi 59 milioni. In Campania le dosi consegnate sono 5.710.000; somministrate 5.020.000. In Calabria 1.516.000 le somministrazioni e 1.836.000 le dosi consegnate. In Lombardia le dosi consegnate sono 10.026.000, quelle somministrate 9.111.000. La regione Lazio ha ricevuto 5.961.000 dosi e ne ha somministrate 5.286.000; in Emilia Romagna arrivate 4.312.000 dosi e 3.850.000 le somministrazioni.
Sono 4.263.317 le persone che in Italia hanno contratto il virus; 4.091.004 sono guarite o dimesse dagli ospedali. I dati del 4 luglio indicano 808 casi di positività accertati a fronte di 141.640 tamponi. Le Regioni lamentano la mancanza di dosi, il Commissario Figliuolo afferma che la media giornaliera di 500 mila somministrazioni del vaccino continua e che le dosi ci sono. Nella maggior parte del continente africano la copertura vaccinale è carente o assente.
La preoccupazione maggiore in Italia è data dalle scelte relative alla modifica di plessi ospedalieri, alla mancanza di personale sanitario, al mancato ripristino delle cure delle patologie che necessitano di ospedalizzazione.
La pandemia ha messo in difficoltà il Sistema sanitario regionale e quello nazionale, quest’ultimo già indebolito da anni di tagli e riduzioni delle spese. Secondo l’analisi di Quotidiano Sanità sugli Annuari statistici del Ssn (Servizio sanitario nazionale), in 10 anni sono stati chiusi 173 ospedali.
“Nel 2010 tra pubblici e privati erano 1.165 mentre nel 2019 sono scesi a 992, con un taglio più marcato per quelli pubblici”, spiega il report. Negli stessi anni, tra il pubblico e il privato sono stati tagliati 43.471 letti (degenze ordinarie, day hospital e day surgery. Ridotto anche il numero dei consultori: chiusi 1 su 10.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede investimenti anche nella Sanità per circa venti miliardi di euro fino al 2026.
Il programma di ripresa punta sull’investimento e sull’assistenza territoriale, sull’integrazione tra servizi sanitari e sociali. L’ammodernamento del sistema sanitario, il potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico e lo sviluppo della telemedicina sono i tre pilastri. Il Piano investe nell’assistenza di prossimità diffusa sul territorio, attivando 1.288 Case di comunità e 381 Ospedali di comunità.
L’obiettivo è di raggiungere il 10% della popolazione con più di 65 anni tramite l’assistenza domiciliare, con la previsione di attivare 602 Centrali operative territoriali per la telemedicina (cioè l’insieme di tecniche mediche e informatiche che permettono le cure a distanza).
Il segretario Funzione Pubblica Cgil Vannini: “Le Case e gli Ospedali di comunità sono le strutture fisiche dove trovare una serie di prestazioni più semplici. Il cittadino saprà che in quelle strutture troverà un medico generale 24 ore su 24. Questo permetterà di decongestionare i Pronto Soccorso’’.
La crisi covid ha ‘’evidenziato’’ che tra il 2010 e il 2019 i medici attivi sul territorio nazionale si sono ridotti di 5.132 unità, mentre gli infermieri sono 7.374 in meno. Durante la pandemia ci sono state assunzioni a tempo determinato o con contratti di somministrazione. Alla fine dell’anno 2021 torneranno a ingrossare le file di chi cerca un lavoro, se non verranno inquadrati nel sistema sanitario. La questione apre, amplifica, le problematiche della Sanità Regionale.
I medici di famiglia erano 45.878 nel 2010, sono diventati 42.428 nel 2019 (-3.450). Alcuni (tanti?) hanno ricoperto, ricoprono, il doppio ruolo di medico di base e di specialista. In calo anche i pediatri (-310 in 10 anni per un totale nel 2019 di 7.408 unità).
I medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) dai 12.104 che erano nel 2010 sono diventati 11.512 nel 2019.
Il Piano di ripresa e resilienza prevede somme per finanziare assunzioni a termine del personale. E dal 2026?
Perché il finanziamento europeo non va oltre tale annualità.
Sempre Vannini:’’ Rischiamo di impiantare un sistema di salute territoriale, di assistenza agli anziani, con le Casa di comunità, le centrali operative territoriali, gli Ospedali di comunità senza stanziamento adeguata dopo il 2026’’
Alla Sanità viene destinato l’8% del totale; più di 8 miliardi andranno alla transizione ecologica, all’acquisto di macchinari di nuova generazione per la diagnostica, all’ammodernamento delle strutture ospedaliere e alla digitalizzazione della Sanità.
Misure utilissime, specie la telemedicina, ma ristrutturazione dell’ospedale, pur importante, non certifica miglioramenti per la salute.
Altro problema che viene sottaciuto riguarda la mancanza di Medici sul territorio. Il pensionamento da un lato e la mancanza di laureati abilitati dall’altra creano condizioni invivibili per buona parte della popolazione. Soprattutto over 65 anni.
Un disagio che si spande a macchia d’olio dal Nord (iconizzato quale non plus ultra) al Sud. In Lombardia, esempio, ci sono 200 ambiti territoriali carenti di assistenza primaria.
Siamo tutti speranzosi nell’arrivo dei finanziamenti del Recovery Fund, da parte dell’Europa.
Come li recupera l’U.E.?
Il 15 giugno la Commissione europea ha emesso le prime obbligazioni (europee) per finanziare il fondo. Ha raccolto e raccoglierà i primi 20 miliardi di euro con titoli decennali. Nel corso del mese di luglio ci saranno altre due emissioni. Entro dicembre 2021 si conta di raccogliere circa 80 miliardi in obbligazioni ai quali si abbineranno i buoni europei a breve termine.
Francia, Italia e Spagna propongono che tale sistema europeo di indebitamento divenga permanente, altri Paesi premono che sia un indebitamento ‘una tantum’.
Attualità
L’eutanasia delle aree interne del Sud decisa per legge

Il governo Meloni ha predisposto il nuovo Piano Strategico per le Aree Interne pubblicato dal Dipartimento delle Politiche di Coesione e per il Sud, struttura che coordina e pianifica l’attuazione delle politiche di coesione territoriale. Il documento messo a disposizione del Ministro Tommaso Foti, in quota Fratelli D’Italia, descrive la drammatica situazione di ben 42 aggregati comunali del Sud per i quali si configura una situazione di “povertà dietro l’angolo” e individua come soluzione “l’accompagnamento allo spopolamento” ritenuto “l’obbiettivo minimo”. Il Presidente della CNA di Enna (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa), Valentino Savoca, denuncia il fatto e dichiara, senza mezzi termini, la scelta “inaccettabile e offensiva nei confronti di milioni di persone, della storia di tante comunità e dell’Italia dei comuni” (Ennalive.it, 2 luglio 2025). La migrazione dalle aree interne del Mezzogiorno è stata valutata irreversibile, sia dall’attuale governo che da quelli precedenti, mai contrastata con azioni concrete che avrebbero potuto invertire il trend negativo. I dati dell’Istat confermano la diminuzione della popolazione ed offrono al governo Meloni l’alibi per ridurre o azzerare le risorse finanziarie per la sanità, l’Istruzione, del fondo perequativo e infrastrutturale nonché quelle del PNRR, dirottandole verso il Centro-Nord. Con l’effetto di favorire l’accentramento della popolazione in poche aree urbane super affollate, dotate di servizi efficienti mentre le aree interne del meridione sono condannato ad un oblio programmato che le trasformerà in una riserva indiana abitata, in maggior misura, da anziani. I meridionali sono di serie B ma quelli delle aree interne appartengono ad una sotto categoria con ancora minori diritti di cittadinanza, concetto ribadito in una nota di Marco Sarracino, responsabile coesione territoriale, Sud e aree interne della segreteria nazionale del Pd (2 luglio 2025). Nemmeno con i fondi del PNRR si è voluto ridurre il divario infrastrutturale complementare alla nascita dell’industria manifatturiera e della logistica finalizzate alla riduzione della migrazione. Hanno favorito le disuguaglianze socio-economiche che rendono il Paese diviso e disuguale.
Attualità
Convocato Consiglio Comunale – In discussione lo spostamento del mercato settimanale e riconoscimento stato di calamità

Ad Ariano Irpino il Presidente del Consiglio ha convocato il Civico Consesso nella Sala Consiliare “Giovanni Grasso” di Palazzo di Città, in seduta ordinaria, in unica convocazione per il giorno 8 luglio 2025 alle ore 17,00 per la trattazione dei seguenti argomenti:
- – Richiesta riconoscimento stato di calamità e costituzione di un tavolo tecnico per il monitoraggio dei danni subiti e l’individuazione degli agricoltori danneggiati;
- – Spostamento del mercato settimanale in località Cardito. Discussione ed esame della possibilità di revoca del provvedimento e di ripristino della sede originaria.
Attualità
AREE INTERNE, D’AGOSTINO(FI): NESSUN DECLINO IRREVERSIBILE

Il segretario provinciale di Avellino scrive alla Premier e al Ministro per la Coesione: “Per i nostri territori occorrono infrastrutture, accesso al credito, agevolazioni fiscali e valorizzazione del turismo sostenibile, non rassegnazione.”
Roma, 2 lug – “Le aree interne non sono un capitolo chiuso della storia economica del Paese, né un peso morto destinato al declino. Sono un potenziale straordinario di sviluppo, lavoro e qualità della vita. Serve il coraggio politico di scommettere sul loro rilancio, non la rassegnazione istituzionale”. Lo dichiara l’on. Angelo Antonio D’Agostino, responsabile nazionale del Dipartimento Innovazione e Sviluppo di Forza Italia e segretario provinciale del partito ad Avellino, commentando il contenuto del Piano strategico nazionale per le aree interne, dove si parla di “struttura demografica compromessa” e di una condizione di difficilissima reversibilità per molti territori.
“Sono valutazioni che mi permetto di respingere con determinazione – prosegue D’Agostino – perché rischiano di cristallizzare una visione rinunciataria, che finisce per deresponsabilizzare la politica e scoraggiare le comunità locali. L’Italia non può permettersi di archiviare un terzo del proprio territorio come se fosse perso per sempre. Per questo ho scritto una missiva alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e al Ministro per le Politiche di Coesione, Tommaso Foti, per chiedere di rivedere le parti del Piano che fanno riferimento a una presunta irrimediabilità del declino, sostituendo questa impostazione con un impegno chiaro per politiche di rigenerazione e investimento.”
D’Agostino sottolinea come il rilancio delle aree interne debba passare per interventi concreti: “Dalle infrastrutture materiali e digitali all’accesso al credito, da agevolazioni fiscali per chi investe alla valorizzazione del turismo sostenibile e dell’industria di trasformazione, è possibile creare le condizioni per invertire la tendenza. Come imprenditore a capo di un gruppo nato proprio nelle aree interne del Mezzogiorno, so che questa sfida può essere vinta se si abbandonano le vecchie ricette e si adottano politiche innovative, ambiziose e territorialmente mirate.”
“Sono certo che Forza Italia, grazie al lavoro certosino del nostro capo delegazione a Bruxelles, Fulvio Martusciello, e del nostro Segretario nazionale e Vice Premier, Antonio Tajani, continuerà a lavorare in Europa, in Parlamento e nel Governo per restituire dignità e futuro ai nostri borghi e ai nostri comuni. Nessun territorio deve sentirsi condannato al declino: questa – conclude D’Agostino – è la nostra responsabilità e la nostra sfida.”
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