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Viaggio–inchiesta nella sanità italiana ai tempi del coronavirus

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In tutta Italia è in corso l’emergenza da coronavirus, una pandemia che ci ha trovati impreparati a partire dal campo sanitario, laddove le risposte per curare chi ne fosse stato colpito, avrebbero dovuto essere immediate e con le attrezzature adeguate. Così purtroppo non è stato e per molteplici motivi, il primo dei quali è consistito nell’aver sottovalutato la virulenza del Covid-19. Al Nord, il virus ha colpito prima e di più, anche a causa di una mentalità, soprattutto in alcune zone, protesa alla produzione a tutti i costi, all’avidità di guadagno, com’è stato nel caso di Bergamo, dove la strage era dunque annunciata. Ce ne siamo occupati in queste pagine a più riprese. Intendiamo ascoltare la voce di coloro che in varie parti d’Italia, dal Nord al Sud, sono in prima linea nel combattere il Covid-19 o quantomeno, abbiano le competenze per poterne parlare. Ci serve a capire dove e come funzioni la nostra sanità, e di cosa abbisogna per diventare più efficiente.

Limitare la sanità pubblica sul territorio è fallimentare: troppi errori compiuti

dottor Carlo Venzano

Parla Carlo Venzano, già primario di Ematologia, Oncologia e Medicina interna presso l’Ospedale Padre Antero di Genova

Com’è la situazione emergenza coronavirus a Genova?L’attività è concentrata tra l’Ospedale San Martino, il Galliera, e Villa Scassi a Sampierdarena. I letti della rianimazione, stando alle statistiche, sono occupati al 97-98%. La diffusione della malattia non è così alta come in Lombardia, ma anche qui abbiamo il problema dei casi non conclamati: sono coloro che muoiono in casa o in residenze per anziani e non vengono diagnosticati, per la difficoltà di fare una diagnosi a tutti. Ci sono situazioni in cui la malattia si è diffusa con percentuali alte e molto facilmente, come nelle RSA (residenze per anziani), poiché gli anziani sono più fragili, spesso già compromessi con la salute e quando si ammalano non vengono inviati tutti negli ospedali. A questo, si aggiunga il problema degli operatori sanitari che operano nelle residenze per anziani: solo oggi sono stati forniti dei dispostivi di protezione per il personale sanitario, dopo quasi due mesi dall’esordio della pandemia. La Liguria e Genova in particolare, ha molti anziani e così i casi di decesso sono stati tanti. Anche medici e operatori sanitari stanno ammalandosi: di recente un mio amico, ex primario del Sampierdarena, è andato a visitare una persona, e dopo essersi infettato, purtroppo è deceduto. La riduzione complessiva dei posti letto ospedalieri e del personale medico e paramedico nella Regione, unita all’assoluta impreparazione di fronte all’emergenza, che almeno in parte era stata preannunciata, hanno fatto il resto. In ogni modo, anche se medici e operatori sanitari sono stressati, stanno reggendo, ce la fanno. In caso di necessità il mio suggerimento è di ricorrere all’assunzione di giovani medici e paramedici.

L’emergenza non è stata dunque affrontata col giusto tempismo?

L’emergenza era stata preannunciata, ma ci si è fatti trovare impreparati: Nel settembre del 2019 e persino prima,- basta andare su Internet per trovarlo – l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) pubblicava un documento in cui metteva nero su bianco, una serie di raccomandazioni di minima rivolte soprattutto agli Stati con sistemi sanitari poco efficienti, nei confronti di una possibile pandemia virale con compromissione respiratoria. Faceva riferimento agli studi sulle epidemie dell’Ebola, della Sars, della Mers, etc.. Nessuno Stato però ha fatto nulla. All’inizio, il problema è stato sottovalutato. Non sappiamo se la Cina abbia fornito le giuste informazioni, se abbia ritardato a darle complete: può darsi, le versioni sono controverse. Fatto sta, che in Cina, i medici che avevano segnalato i casi, all’inizio erano stati messi a tacere, redarguiti e messi sotto consiglio di disciplina. Da quando si è saputo del virus, ai primi di gennaio, si sarebbe almeno dovuta attivare una sorta di allerta negli ospedali, tra i medici di famiglia, nelle case di riposo. Bisognava immediatamente fare la ricerca dei dispositivi di protezione personale: si sapeva che mancavano camici e mascherine. Si sarebbero dovuti istituire negli ospedali e nei Pronto soccorso, percorsi separati per persone sospette e ripristinare norme igieniche fondamentali, conosciute ma non sempre seguite alla lettera, come quella di lavarsi ripetutamente e bene, le mani. Di tutto ciò, da inizio gennaio a fine febbraio nulla è stato fatto. L’unica cosa, fatta il 31 gennaio, è stato il blocco dei voli diretti dalla Cina. Anche la comunicazione è stata confusa e contraddittoria. I cosiddetti esperti e gli scienziati, all’inizio avevano opinioni diverse. I media, social compresi, hanno fatto parlare troppe persone, che si sono messe in mostra, talvolta sminuendo la portata del problema e relegandolo a una semplice influenza. Alla componente medico-scientifica, non si può attribuire pieni poteri sulle decisioni del modo di vivere di una comunità, altrimenti si rischia che diventi una tecnocrazia. La comunità va coinvolta, serve un dibattito pubblico prima di prendere le decisioni importanti: non si può delegare alle interminabili liti tra maggioranza e opposizione.

Fontana, governatore della Lombardia, ha detto che alla carenza delle mascherine si può sopperire usando le sciarpe!

È una bufala enorme! Qualcuno glielo ha detto e sottoscritto? Se è sufficiente una sciarpa, è inutile che facciamo tutte queste storie per cercare le mascherine (ride): la sciarpa ce l’abbiamo tutti!

Come sopperire ai dispositivi che scarseggiano?

È importante averli soprattutto nei luoghi di lavoro, negli uffici in cui si è a contatto col pubblico, nei presidi sanitari, nelle case di riposo. Per strada credo che basti il distanziamento sociale. Certo, anche l’OMS ha le sue responsabilità sulla questione dei dispositivi: è stata altalenante, inizialmente sembrava non servissero le mascherine, se non ai malati e ai sintomatici, ora ritiene che servono per tutti. Persino il medico che ha scoperto il primo caso a Codogno, per eseguire il test, lo ha fatto esulando dalle strette indicazioni dettate dall’OMS.

Oggi si fanno gli esami del sangue per vedere se ci siano gli anticorpi…

I test sierologici sono esami nati troppo rapidamente: ho qualche riserva, come ce l’ha l’Aifa (organismo disciplinare per l’approvazione del farmaco e tecnologie sanitarie), che non li ha ancora validati. È solo un mese e mezzo, non c’ è stato il tempo di verificare secondo i suoi parametri di specificità, sensibilità e riproducibilità. C’è chi comincia a guadagnarci: qui ci sono laboratori privati che li eseguono a 100 € l’uno. Vengono esaminati gli anticorpi, cioè le immunoglobuline, le proteine che l’organismo produce nei confronti del virus e di qualsiasi sostanza estranea. Si iniziano a produrre dopo 10-14 giorni dal contatto: se vengono rilevate, vuol dire che c’è stato un contatto, ma non rivela se il virus sia stato espulso o se sia ancora presente nel corpo. Se hai gli anticorpi sei protetto, probabilmente almeno per un po’ di tempo, non te lo prendi più. Va in ogni caso validato con sistemi comparabili.

E il tampone?

Il tampone serve per verificare se si è portatori del virus: il limite consiste nel fatto che lo fai oggi, e magari stai bene, ma non sai come starai tra una settimana. Bisogna farne a tappeto e individuare i contatti dei portatori, come hanno fatto in Corea. In questo modo sono riusciti a contenere il contagio. È importante fare i tamponi agli operatori sanitari per individuare se siano portatori o con possibilità di infettare gli altri o se siano sani e in tal caso potrebbero infettarsi.

Il modello lombardo ha fallito: la sanità dev’essere gestita dalle regioni o dallo Stato?

La sanità dev’essere pubblica e accentrata a livello nazionale. L’esempio della Lombardia, modello della sanità pubblica e privata, ha privilegiato la sanità ospedalo-centrica, con le eccellenze, certo, ma ha limitato la sanità sul territorio. È venuta meno l’attenzione alle malattie infettive, che significa avere una rete epidemiologica che rilevi i campanelli d’allarme in ogni paese, come si faceva un tempo. Quando non c’erano gli antibiotici, fino al secondo dopoguerra, la lotta alle malattie infettive avveniva solo con la prevenzione e l’igiene. Con l’avvento degli antibiotici, le norme dell’igiene pubblica sono diminuite. Il Veneto ha una tradizione di sanità un po’ più territoriale, tanto che è riuscito a gestire l’emergenza arginando un po’ meglio la diffusione del virus.

Cos’ha di nuovo questo virus?

Non è un evento nuovo, si pensi al morbillo, che si è trasmesso dagli animali all’uomo. La trasmissione del virus è cominciata da quando l’uomo ha cominciato ad allevare le mucche. Non è cambiato il passaggio del virus da animale a uomo, ma è lo scenario umano che è cambiato con la globalizzazione: ci si sposta da una parte all’altra e spostandosi, si diffonde anche il virus.

In che tempi immagina che usciremo da questa pandemia?

È difficile dirlo: genericamente quando una buona quantità di popolazione è venuta a contatto del virus e non potrà più prenderlo, si sarà creata un’immunità di gregge. Bisognerà però fare dei test degli anticorpi, validati su un campione significativo di popolazione. Bisognerà aspettare di superare almeno due volte il tempo di incubazione, se è di 20 giorni, bisognerà attenderne dunque 40. Ricordiamoci però, com’è già accaduto con la Spagnola, che mentre sembrava debellata, l’anno successivo aveva avuto una ripresa peggiore: questo va tenuto presente. In questo scenario, decisioni sul da farsi, come lavorare o meno, devono essere prese attraverso un dibattito pubblico, non possono essere prese solo dal Governo, le scelte da fare e le responsabilità, afferiscono all’intera collettività.

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Direttivo provinciale di Forza Italia allargato a sindaci ed amministratori

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Sì è tenuta ieri sera all’Hotel Belsito di Avellino la riunione del direttivo provinciale di Forza Italia, allargata a sindaci ed amministratori.  

Un confronto lungo e articolato dal quale è innanzitutto emerso unanime e convinto sostegno alla candidatura del vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, alla presidenza della Regione Campania per la coalizione di centrodestra.

In primo luogo nelle parole del Segretario provinciale, Angelo Antonio D’Agostino, il convincimento che Forza Italia, in Irpinia come nel resto della regione, sarà il traino della coalizione risultando determinante per una vittoria che va costruita al centro, recuperando voto moderato.

La missione di Forza Italia, casa del popolarismo, è questa. Una missione alla portata, alla luce del grande lavoro di radicamento fatto in questi anni e degli enormi spazi che la candidatura di Roberto Fico per il centrosinistra, lascia sguarniti proprio nell’elettorato centrista. Forza Italia può e deve colmare quello spazio.

Venendo alla costruzione della lista, nel corso della discussione sono emerse molte disponibilità dai territori.  Profili diversi che nei giorni a venire saranno valutate nella massima condivisione, perché l’obiettivo di tutti deve essere quello di mettere in campo la migliore compagine possibile, connubio tra competenze e radicamento.

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Cisal, Picone: più attenzione a sicurezza dei lavoratori, anche in Irpinia troppi incidenti

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“Occorrono interventi concreti per garantire la sicurezza; le buone intenzioni o gli slogan non servono. Gli infortuni sul lavoro sono e restano una intollerabile emergenza, in Irpinia e Campania, come nel resto del Paese”. Ad affermarlo è Massimo Picone, coordinatore provinciale della Cisal di Avellino e commissario della categoria Metalmeccanici.

“I dati ufficiali – prosegue il dirigente sindacale – ci dicono che il fenomeno è in crescita al Sud, che registra il più alto tasso di incidenti mortali sui luoghi di lavoro. Ma in generale aumentano infortuni e decessi in itinere, nel percorso casa-luogo di lavoro. Una tendenza che si avvertiva già negli ultimi anni. Nei primi otto mesi del 2025 l’incremento è stato dell’8,8 %, 186 vittime, soprattutto del comparto industriale e dei servizi, 15 in più rispetto al 2024 e più o meno un quarto dei decessi complessivi.

Su questo versante ad incidere sono l’espansione dei bacini di pendolarità, l’aumento delle distanze tra abitazione e luogo di lavoro, la debolezza del trasporto pubblico e il conseguente uso del mezzo privato, tutti elementi che accrescono l’esposizione al rischio.  

In aumento anche le malattie professionali, quasi del 10%, rispetto all’anno precedente.

La sicurezza viene considerata purtroppo ancora soltanto un optional, all’interno di un quadro complessivo deprimente: precarietà, i salari più bassi d’Europa, l’uso sistematico di esternalizzazione del lavoro, crisi profonda di alcuni comparti come l’automotive, che in Irpinia costituisce una filiera produttiva importante per l’economia e per l’occupazione, ma su cui pendono molti problemi che ne compromettono la prospettiva”.

“E’ necessario pertanto – conclude Picone – che si investano più risorse sui controlli, aumentando il numero di ispettori che operano sul territorio, ma vanno modificati anche i processi produttivi. C’è bisogno inoltre che le politiche di sicurezza aziendale si integrino con misure di prevenzione estese agli spostamenti dei lavoratori, promuovendo iniziative coordinate in materia di mobilità sostenibile, riorganizzazione dei tempi di lavoro e rafforzamento delle infrastrutture di trasporto”.

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La disumanità dei governi imbelli

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È caduto il velo delle menzogne, la Flotilla mette a nudo la disumanità dei governi imbelli, interessati a mantenere attivo e florido il mercato delle armi, riconvertendo quello delle automotive, in grave crisi in Europa. La Meloni aveva criticato l’azione della Global Sumud Flotilla reputandola inopportuna e affermava: “è una fase nella quale tutti quanti dovrebbero capire che esercitare una responsabilità, attendere mentre c’è un negoziato di pace, è forse la cosa più utile che si può fare per alleviare le sofferenze dei palestinesi” e riferendosi alla Flotilla, proseguiva e rincarava la mano: “ma forse le sofferenze del popolo palestinese non erano la priorità” (Ansa e L’Espresso1 ottobre 2025).

Eppure, nei confronti di Israele, la Meloni non esprime alcuno sdegno diversamente manifestato per la Flotilla. Dimentica che era un’azione umanitaria, svolta da persone di diversa nazionalità, disarmate, indirizzata a creare un corridoio sicuro al fine di alleviare le sofferenze del popolo Palestinesedovute alla mancanza di cibo e di medicinali,provocate dalla disumanità del governo genocidario di Israele. Nulla potrà rimanere come prima, la Flotilla ha avuto il merito di aver attirato l’attenzione mediatica su ciò che accade a Gaza e sulla pulizia etnica operata da Israele. Atto esecrabile e frutto avvelenato che affonda le sue radici nel lontano 1948, costellato di odio e morte che avvelena l’esistenza degli israeliani e dei palestinesi, senza soluzione di continuità e senza una via d’uscita. Sin ad oggi, l’UE, gli USA, la Comunità Internazionale non sono riusciti a proporre una pacifica ed unitaria soluzione al tema dei due Stati e dei due popoli. Le immagini di Gaza distrutta, delle donne che piangono i bambini morti per fame o colpiti dalle bombe, hanno ferito la carne viva di milioni di persone chespontaneamente sono scese in piazza gridando lo slogan: “blocchiamo tutto”. Spero che, tutto ciò indurrà i singoli governi e la Comunità Internazionale a rimettere al centro dell’agenda politica il bene comune, oscurato dai ciechi nazionalismi e dalla ricerca del benessere personaleedonistico. I popoli hanno indicato la strada: si dia voce e speranza al senso di umanità, si dia voce e dignità ai popoli del Sud del mondo.

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