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Giuseppe De Donno- Ancora effetti Covid, il plasma iperimmune

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Giuseppe De Donno era Medico, è stato Primario di Pneumologia presso l’Ospedale ‘’Carlo Poma’’ di Mantova. Alla ribalta mediatica ad aprile 2020, durante la pandemia, per l’utilizzo del plasma iperimmune, ricavato dal sangue dei guariti dal Sars-CoV2 con alto tasso anticorpale.

Aveva 54 anni. E’ stato trovato morto in casa, si sarebbe tolto la vita impiccandosi. In atto le indagini per accertare la dinamica.

Chiedemmo, telefonicamente, un’intervista al Dottor De Donno sulla sperimentazione messa in campo. Rimandò, causa impegni programmati.

Infatti era presente in diverse trasmissioni televisive incentrate sulla sperimentazione in atto.

Lo stesso De Donno, dichiarava in quei giorni, fase iniziale della terapia, di aver curato 46 persone, poi aumentate nei mesi successivi. Elevato fu l’interesse per la terapia, osteggiata sin da subito da luminari che vivevano, oltre che dello stipendio di medici, dei compensi dei talk show.

Lo studio ‘’Tsunami’’, promosso dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Aifa, vedeva impegnati 477 pazienti positivi al Sars-Cov-2, con polmonite e difficoltà respiratorie, suddivisi in un gruppo da 246 e un altro da 231. Il risultato, pubblicato in un comunicato dell’Aifa dell’8 aprile 2021, rilevava che “non è stata osservata una differenza statisticamente significativa nella necessità di ventilazione meccanica invasiva definita o decesso entro 30 giorni dalla data di randomizzazione, tra il gruppo trattato con plasma e quello trattato con terapia standard. Nel complesso lo studio non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi 30 giorni”.

De Donno, laureato in Medicina a Modena, aveva conseguito la specializzazione nelle malattie dell’apparato respiratorio. Per circa 27 anni ha lavorato al Carlo Poma di Mantova. Aveva approfondito studi clinici specie quello sulla cura della malattia tubercolare.

Dal 5 luglio scorso era medico di medicina generale a Porto Mantovano.

Ora si riparla della ‘’sua’’ terapia.

Cerchiamo di chiarire nei dettagli: il liquido (il siero) ottenuto dal sangue formato dal plasma; il plasma è la parte liquida del sangue. È di colore giallo chiaro e composto da circa il 91% di acqua. Costituisce circa il 55% del sangue, mentre l’altro 45% è fatto da globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, deputate alla coagulazione. Quindi non è un vaccino, come erroneamente viene definito perché non riesce a fornire all’organismo del malato la possibilità di sviluppare autonomamente gli anticorpi neutralizzanti contro la malattia, al contrario di quanto accade con i vaccini.

La terapia del plasma veniva utilizzata nel trattamento dell’Ebola nel 2014 e della MERS nel 2015.

I primi a utilizzare il plasma iperimmune nei pazienti Covid sono stati i medici cinesi di Shangai, che pubblicarono un articolo, riportato dal nostro Istituto Superiore di Sanità il 9 aprile 2020.

Il 3 maggio 2020 fu pubblicato un articolo intitolato «Coronavirus. La cura col plasma funziona? Si, ma ci sono dei limiti e la ricerca continua».

Veniva riportata l’efficacia della terapia nei confronti dei pazienti meno gravi, quindi con dei limiti ammessi dagli stessi ricercatori di Mantova, e della difficoltà di individuare i donatori. Come ammetteva il Dott. Massimo Franchini, ematologo e primario del centro trasfusioni dell’ospedale di Mantova che lavorava insieme a Giuseppe De Donno nello studio della terapia: «Il limite principale è individuare i donatori guariti e arruolabili. La seconda difficoltà è la complessità del progetto».

Il plasma iperimmune può essere ottenuto da persone che hanno un alto “titolo anticorpale” e dunque contenente un alto numero di anticorpi specifici contro il Sars-Cov-2. La donazione, come la ‘normale’ donazione di sangue, risulta fondamentale. L’Avis dichiarava che «risulta molto improbabile pensare di poter guarire tutti i pazienti di coronavirus del mondo attraverso delle trasfusioni di plasma iperimmune con alto titolo anticorpale. Non in tutti i pazienti guariti sussiste».

Oltre alla difficoltà di reperire i donatori adatti, va considerato che la donazione di plasma prevede un prelievo massimo complessivo di 1,5 litri al mese.

Quanto plasma veniva somministrato ai pazienti nell’ospedale di Mantova? Sembra circa 300 ml a dose.

In quei terribili mesi del 2020 molti ritenevano la terapia del plasma iperimmune come la svolta per la gestione della malattia. La soluzione definitiva alla Covid. Gli studi pubblicati sinora attestano che può essere utile per i pazienti con problemi relativi al sistema immunitario in quanto si trovano nella condizione di non poter contare sulle proprie difese.

Serve, ma non è l’arma definitiva.

Il Dott. Raffaele Bruno, direttore di Malattie infettive presso l’ospedale San Matteo di Pavia aveva collaborato nella sperimentazione con i colleghi di Mantova, tra cui De Donno. Affermò con chiarezza in un’intervista che la terapia «non sicuramente è la soluzione del problema, ma un ulteriore aiuto nel cercare di combattere questa malattia».

Il sito della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, a ottobre 2020, aveva pubblicato sul suo portale una revisione della Cochrane Library (un network internazionale indipendente e no-profit nato nel 1993, dal nome di Archie Cochrane epidemiologo britannico, con lo scopo di raccogliere e evidenze scientifiche accurate e aggiornate sugli effetti degli interventi sanitari), alla luce dei risultati di 19 studi sull’efficacia e la sicurezza della terapia.

Due soltanto di questi studi sono randomizzati, in essi gli autori hanno concluso che «non è chiaro se il trattamento con plasma proveniente da persone guarite da Covid-19 sia efficace per le persone ricoverate con questa patologia».

Gli studi sono continuati e la revisione della Cochrane Library è stata aggiornata il 20 maggio 2021 citando l’esistenza di 77 studi randomizzati in corso, ma i risultati non sono proprio quelli attesi dai sostenitori della terapia.

Negli Stati Uniti la terapia venne autorizzata dall’FDA, portando al trattamento di 105.000 pazienti affetti da Covid19. Venne riscontrato, come riportato dal Washington Post del 9 novembre 2020, che l’11% dei pazienti non intubati che avevano ricevuto il plasma con alti livelli di anticorpi morirono entro 7 giorni dalla trasfusione, rispetto al 14% di quelli che avevano ricevuto il plasma con basse cariche anticorpali. La terapia venne comunque autorizzata in via emergenziale non avendo riscontrato pericoli per la salute dei pazienti.

Il National Institutes of Health (NIH), in data 8 luglio 2021 dopo la sperimentazione condotta in 47 dipartimenti di emergenza ospedaliera dalla quale alcun beneficio significativo hanno conseguito i pazienti ospedalizzati con sintomi lievi, non consiglia la terapia del plasma iperimmune per il trattamento della Covid19 perché ‘’non ci sono prove sufficienti per raccomandare o meno il suo utilizzo’’.

Giuseppe De Donno, insieme ai medici dell’ospedale di Mantova, ha pubblicato nel febbraio 2021 uno studio, intitolato Rescue, nella rivista Mayo Clinic Proceedings di Rochester del Minnesota. Lo studio riporta che la terapia utilizzata avrebbe dimostrato una riduzione della mortalità del 65% nei pazienti trattati. Basato su 22 pazienti anziani con infezione da Covid19, non risulta essere uno studio randomizzato, bensì uno studio prospettico.

Viene in mente la storia di Stan Meyer, l’inventore di un’auto alimentata ad acqua che non ha mai visto una commercializzazione e che non ha mai avuto riconoscimenti ufficiali. Nel 1995 annunciò in televisione di aver costruito un’auto alimentata ad acqua, che con 4 litri di acqua può percorrere circa 184 km. Si trattava di una tecnologia capace di produrre una miscela di idrogeno e ossigeno con un minimo utilizzo di energia.

Il motore, a suo dire, utilizzando 83 litri di acqua purificata aveva percorso 4500 chilometri. La vita di Stanley Meyer è stata bruscamente interrotta il 20 marzo 1998 mentre stava cenando con suo fratello gemello e un paio di investitori belgi. Dopo aver bevuto dal suo bicchiere succo di mirtillo. Persino il Pentagono era molto interessato al suo lavoro. L’obiettivo di Meyer era impedire alle grandi compagnie petrolifere e i paesi di fare profitti a danno dei consumatori.

Sappiamo tutti i balzi dei prezzi del petrolio e del gas.

Come sappiamo, ormai, i prezzi dei vaccini.

Complotti? Oscure manovre? Potremmo dire semplicemente profitti.

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La scorta di Ranucci siamo noi

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L’attentato a Sigrifido Ranucci è una violenza fatta a tutti noi; con modalità mafiosa volevanointimidire il giornalista per impedirgli di portare alla luce le nefandezze delle mele marce. L’azioneviene da lontano, dalle inchieste sui ministri del governo Meloni, dagli esposti inviati alle procure di mezza Italia, dalla mancata partecipazione alla presentazione dei palinsesti televisivi a Napoli, dalla riduzione delle puntate di Report. Azionesistematica indirizzata a minare la credibilità delle inchieste condotte da Sigrifido Ranucci, affiancate dall’isolamento e dalla delegittimazione sono il segnale che la malavita organizzata ha colto perzittirlo, senza riuscirci. La gente comune si erge a difesa della libertà di parola e di pensiero, principio scolpito nella Costituzione. Vogliono che sianoportati alla luce i retroscena del palcoscenico dove il nepotismo e gli interessi personali sono il programma dei mestieranti della politica. Sei la nostra voce, la nostra arma per far pulizia in politicae nella pubblica amministrazione, non l’hanno zittito, oggi è ancora più forte.

La Redazione di meridionemeridiani.info

esprime la solidarietà e la vicinanza alla Redazione di Report ed al giornalista Sigrifido Ranucci per il vile attentato subito.

Siamo con te, sei ognuno di noi.

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Direttivo provinciale di Forza Italia allargato a sindaci ed amministratori

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Sì è tenuta ieri sera all’Hotel Belsito di Avellino la riunione del direttivo provinciale di Forza Italia, allargata a sindaci ed amministratori.  

Un confronto lungo e articolato dal quale è innanzitutto emerso unanime e convinto sostegno alla candidatura del vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, alla presidenza della Regione Campania per la coalizione di centrodestra.

In primo luogo nelle parole del Segretario provinciale, Angelo Antonio D’Agostino, il convincimento che Forza Italia, in Irpinia come nel resto della regione, sarà il traino della coalizione risultando determinante per una vittoria che va costruita al centro, recuperando voto moderato.

La missione di Forza Italia, casa del popolarismo, è questa. Una missione alla portata, alla luce del grande lavoro di radicamento fatto in questi anni e degli enormi spazi che la candidatura di Roberto Fico per il centrosinistra, lascia sguarniti proprio nell’elettorato centrista. Forza Italia può e deve colmare quello spazio.

Venendo alla costruzione della lista, nel corso della discussione sono emerse molte disponibilità dai territori.  Profili diversi che nei giorni a venire saranno valutate nella massima condivisione, perché l’obiettivo di tutti deve essere quello di mettere in campo la migliore compagine possibile, connubio tra competenze e radicamento.

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Cisal, Picone: più attenzione a sicurezza dei lavoratori, anche in Irpinia troppi incidenti

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“Occorrono interventi concreti per garantire la sicurezza; le buone intenzioni o gli slogan non servono. Gli infortuni sul lavoro sono e restano una intollerabile emergenza, in Irpinia e Campania, come nel resto del Paese”. Ad affermarlo è Massimo Picone, coordinatore provinciale della Cisal di Avellino e commissario della categoria Metalmeccanici.

“I dati ufficiali – prosegue il dirigente sindacale – ci dicono che il fenomeno è in crescita al Sud, che registra il più alto tasso di incidenti mortali sui luoghi di lavoro. Ma in generale aumentano infortuni e decessi in itinere, nel percorso casa-luogo di lavoro. Una tendenza che si avvertiva già negli ultimi anni. Nei primi otto mesi del 2025 l’incremento è stato dell’8,8 %, 186 vittime, soprattutto del comparto industriale e dei servizi, 15 in più rispetto al 2024 e più o meno un quarto dei decessi complessivi.

Su questo versante ad incidere sono l’espansione dei bacini di pendolarità, l’aumento delle distanze tra abitazione e luogo di lavoro, la debolezza del trasporto pubblico e il conseguente uso del mezzo privato, tutti elementi che accrescono l’esposizione al rischio.  

In aumento anche le malattie professionali, quasi del 10%, rispetto all’anno precedente.

La sicurezza viene considerata purtroppo ancora soltanto un optional, all’interno di un quadro complessivo deprimente: precarietà, i salari più bassi d’Europa, l’uso sistematico di esternalizzazione del lavoro, crisi profonda di alcuni comparti come l’automotive, che in Irpinia costituisce una filiera produttiva importante per l’economia e per l’occupazione, ma su cui pendono molti problemi che ne compromettono la prospettiva”.

“E’ necessario pertanto – conclude Picone – che si investano più risorse sui controlli, aumentando il numero di ispettori che operano sul territorio, ma vanno modificati anche i processi produttivi. C’è bisogno inoltre che le politiche di sicurezza aziendale si integrino con misure di prevenzione estese agli spostamenti dei lavoratori, promuovendo iniziative coordinate in materia di mobilità sostenibile, riorganizzazione dei tempi di lavoro e rafforzamento delle infrastrutture di trasporto”.

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