Attualità
Benedetto Perrino, imprenditore: il Covid ci ha messo a dura prova, ma è vietato arrendersi!

Di Antonella Squarcio
Originario di Villanova del Battista, gestisce dal 1994 a Grottaminarda, insieme alla famiglia Perrino, Villa Regina, nata dal desiderio del suo fondatore di costruire un posto regale, con la finalità di rendere indimenticabile qualsiasi evento. Lo abbiamo raggiunto nel suo “regno”, chiedendogli di svelarci alcuni segreti del mestiere e di spiegarci come si sia modificata l’organizzazione della sua attività in tempi di post Covid-19
Benedetto, come è nata la sua passione per il Wedding e qual è il segreto del suo successo?
Sono stati frutto dell’esperienza acquisita nel corso di anni di intenso lavoro, iniziato nel mio paese di origine, Villanova del Battista, nel lontano1972 presso la location dei miei genitori, Villa Belvedere, agli esordi una piccola sala ricevimenti con ristorazione alla carta, pizzeria e braceria. Avevo 12 anni. ricordo che aiutavo mia madre, lei impastava le pizze ed io, tra una infornata e l’altra, studiavo. Non mi sono mai tirato indietro, ricoprendo diversi ruoli. All’epoca, ogni cosa veniva fatta in modo spontaneo e la necessità della praticità delle cose mi portava ad ingegnarmi per superare qualsiasi tipo di ostacolo. Questo ha accresciuto in me la passione nel realizzare piccole, nuove attrezzature utili in cucina e nel riparare in tempo reale tutto quello che si può improvvisamente danneggiare durante una cerimonia, proprio perché la cerimonia non può essere rimandata. Lavorando con i miei genitori, ho acquisito la capacità di gestire gli eventi, di avere polso nelle più svariate situazioni, acquisendo le competenze necessarie per amministrare una struttura molto complessa e articolata quale è Villa Regina. Il mio motto è: “Non fermarsi al primo ostacolo, perché salendo uno scalino alla volta, si può raggiungere la vetta. Vietato arrendersi”. A ciò devo aggiungere che la maniacale attenzione per i dettagli, la capacità creativa ereditata dai miei genitori, unitamente alla costante dedizione nel far fronte alle crescenti esigenze delle spose e degli invitati, sono state le mie armi vincenti. Per migliorare il mio know how, ho viaggiato in tutto il mondo. Mi sono sempre contraddistinto per la grande capacità di saper ascoltare, di capire e superare le problematiche e riproporle in una chiave nuova, con nuove soluzioni, contemporanee, che dessero soddisfazione agli sposi e agli ospiti. Èda attribuirsi a tutto ciò la longevità della mia attività che ad oggi, dopo ben 48 lunghi anni, vanta notevoli successi. Il mio lavoro è una passione innata, è nel mio DNA, è parte integrante della mia vita, lo svolgo con smisurata dedizione e soprattutto con grande spirito di abnegazione.
Il Covid-19, all’improvviso, ha stravolto completamente la sua quotidianità e la sua attività. Cosa le è mancato maggiormente e quali sensazioni ha provato nel vedere la sua struttura prima brulicante di vita, vuota, silenziosa, inanimata?
Vedere la struttura sola, triste, spenta, è stato un forte dolore, inspiegabile, difficile da capire. Sembrava mi chiedesse aiuto, mi supplicasse di luce, di movimento, di quella vita e di quella gioia che si sprigionano durante le feste. Sembrava abbandonata a se stessa, un vecchio moribondo. Ho trascorso diversi giorni dopo il lockdown qui a Villa Regina, solo con me stesso a ragionare, a passeggiare su e giù lungo il viale e a pensare a come potesse evolvere la situazione. Il mio pensiero è andato e va quotidianamente ai miei 150 dipendenti e alle loro famiglie, che devono sopravvivere con la speranza che arrivi la cassa integrazione e senza un futuro certo.
I ristoratori hanno avuto la possibilità di riaprire il 18 maggio, lei non lo ha fatto. Quali ragioni l’hanno spinta ad una ripartenza più graduale?
Non abbiamo riaperto il 18 maggio perché Il primo matrimonio della stagione era fissato per il 4 aprile. Dal 18 ci siamo occupati prevalentemente della manutenzione ordinaria e straordinaria della struttura e del restyling del suo ingresso che già avevo programmato per quest’anno, con l’intento di rilanciare una nuova immagine dell’attività, cercando di fare di necessità virtù. Il mio punto di forza è proprio quello di riproporre ogni anno un look nuovo, con l’intento di rendere originale, unico, personalizzato, ogni evento, creando un ambiente sempre più accogliente e confortevole dove gli sposi diventano i protagonisti indiscussi. A quasi 50 anni di attività, mi sento ancora instancabile: quotidianamente, in maniera meticolosa osservo ogni angolo della Villa con lo scopo di individuare anche il minimo difetto, la nota stonata da sistemare in modo che ogni cosa sia al posto giusto, allo stesso modo di come si realizza un brano musicale dalla melodia armoniosa. È questa una delle caratteristiche fondamentali del mio lavoro che sto cercando di trasmettere ai miei figli. Il nostro è un lavoro di grande sensibilità: l’ospite deve sentirsi a proprio agio e percepire nell’immediato di essere pensato, curato, coccolato. Il 12 luglio è stato per Villa Regina il primo giorno di inizio attività post Covid-19 con tre cerimonie per un totale di 180 invitati a differenza di prima, quando una sola cerimonia ne contava in media 150/200.Il colpo lo abbiamo incassato, è stato duro, forte: basti pensare che su 600 matrimoni annui prenotati, solo 50 sono stati riconfermati quest’anno dagli sposi più temerari.
Le crisi dipingono sempre nuovi scenari. Alla luce delle diverse linee guida a cui i ristoratori dovranno attenersi, come sarà sposarsi nel post Coronavirus?
Disponiamo all’esterno di quattro postazioni show-cooking realizzate già due anni fa, autonome, indipendenti, dotate di impianti di climatizzazione e di tutto quello che serve per realizzare un matrimonio all’aperto con risultati eccellenti. Da questo punto di vista, sono stato un precursore dei tempi. Abbiamo inoltre impartito al personale, con corsi di formazione, un nuovo modus operandi: distanziamento, mascherine per i camerieri, misurazione della temperatura all’ingresso, censimento degli invitati, percorsi specifici di entrata e di uscita per il personale. Si cercano di formare tavoli con familiari conviventi, o apparecchiando tavoli di 4 persone a fronte degli 8/10 posti di prima. Riprogrammare il servizio, non è stato così difficile: anche le portate che ora devono essere servite in un certo modo, sono state rivisitate e si è trovata subito la soluzione per mettere a proprio agio tutti gli ospiti senza far sentire loro la difficoltà del distanziamento, servendo i prodotti con tutte le precauzioni possibili e immaginabili. Il Covid-19 non ha cambiato il significato intrinseco del matrimonio, che continua ad essere visto dagli sposi la festa, parte bella della vita, personalizzata, originale, fondata su un progetto realizzatoin un ambiente confortevole in cui vivere la propria favola da protagonisti. Difatti, anche durante il primo matrimonio del mese, ho percepito la gioia, l’euforia, la condivisione negli occhi degli sposi e degli invitati, felici di partecipare alla cerimonia con le dovute distanze e precauzioni, ma con l’emozione di sempre.
Quali strategie consiglia ai ristoratori, agli chef e agli imprenditori che ci seguono?
La mia attività, e in modo più allargato tutto il mio comparto, sta attraversando un periodo difficile. Per noi organizzatori di eventi, il Governo avrebbe dovuto decretare lo stato di calamità naturale. Nessuna strategia: dobbiamo puntare sulla nostra capacità economica e di autorigenerarci. Il mio augurio è che possiamo voltare pagina al più presto, chiudere questo infelice percorso ed aprirne un altro, che ci dia la possibilità di erogare nuova energia e linfa vitale per far brillare di nuovo le nostre attività. Dobbiamo avere la pazienza di aspettare, di non demordere. Il numero degli ospiti ha subìto certamente un calo ed attualmente stiamo facendo un percorso di riabilitazione psicologica su noi stessi, ma sono convinto che pian piano ritorneremo ad avere il contatto fisico di un tempo.Il matrimonio è sinonimo soprattutto di amore, di passione, di abbracci, di baci, di stati d’animo che non possono prescindere dalla “festa”. Non è un pranzo di mensa, ma un pranzo conviviale in cui la gestualità affettiva è il mezzo più immediato per esprimere i propri sentimenti e quei valori che sono l’essenza, cioè parte integrante ed essenziale, della nostra vita.
Attualità
Aleandro Longhi (Comitato SAT) sull’emergenza acqua:”Le finanze dell’Alto Calore sono al disastro”

Il Consiglio del Distretto Irpino dell’Ente Idrico Campano ha approvato l’aumento delle tariffe dell’acqua del 30%. Il sindaco di Ariano Irpino Enrico Franza non figura tra i sindaci contrari, né tra quelli astenuti. Possiamo pertanto dedurne che il sindaco di Ariano fosse tra gli assenti o i favorevoli, in ogni caso ha deciso che i cittadini arianesi debbono pagare i 30% in più quell’acqua che l’Alto Calore eroga a singhiozzo. Franza, così loquace quando vuole, si è “dimenticato” di informare gli Arianesi che avranno un nuovo balzello del 30% sull’acqua, che continueranno a ricevere a singhiozzo. Per correttezza bisogna dire che, sia che i sindaci abbiano votato a favore che contro, sia che abbiano partecipato al voto o che si siano astenuti, non cambia nulla: il vero problema è che le finanze dell’Alto Calore sono al disastro. Nelle città civili, i primi servizi che un sindaco dovrebbe assicurare sono: l’acqua pubblica, il sistema fognario, la depurazione delle acque, ovvero tutto quello che non è stato fatto ad Ariano. Si grida contro l’Alto Calore Servizi SpA, su cui si scaricano le responsabilità, dimenticandosi del passato e persino del presente. Gli azionisti, quindi i padroni dell’Alto Calore, sono gli enti locali, ovvero la maggior parte dei Comuni irpini e del Sannio, che oltre a detenere le azioni dell’Alto Calore, sono i proprietari dei tubi marci che dovrebbero portare acqua nelle case. I vecchi tubi sono di piombo, di ghisa, di eternit e non sono mai stati cambiati, ma soltanto rappezzati. I grandi tubi delle condotte principali sono invece di proprietà della Regione Campania attraverso l’Ente Idrico Campano: l’Alto Calore è soltanto il gestore pieno di debiti che vengono dal passato, e forse anche dal presente. Quanti sindaci avranno chiesto a quell’ente, l’assunzione clientelare di qualche parente, amico o semplice elettore? È giunta l’ora di rimboccarsi le maniche ed attuare un risanamento dell’Alto Calore e l’attuale Amministratore Unico sembra ci voglia provare. I sindaci sono i principali responsabili della mancanza d’acqua nelle case degli Irpini, nonostante l’Irpinia galleggi sull’acqua: persino un regio decreto dell’inizio del Novecento recitava che sindaci erano tenuti a dare acqua “bona” ai propri cittadini. Regione, Ente Idrico Campano, Alto Calore, Comuni e Province, non hanno neanche avuto la dignità di richiedere i fondi del PNRR (miliardi di euro) per il risanamento idrogeologico e per il rifacimento delle reti idriche. Se il Comune di Ariano, che sta spendendo 5 milioni di euro del PNRR per rifare il lastricato di 5 piazze, avesse sostituito km di tubi, sarebbe stato meglio, ma come si sa, i tubi non si “vedono”. Ovviamente anche la Regione Campania dovrà fare la sua parte. L’Amministratore Unico, avv. Antonello Lenzi, ci sta provando con uno degli strumenti a sua disposizione: l’aumento delle tariffe a carico dei cittadini, che dovrebbero pagare anche per il 60-70% di acqua che si disperde dai tubi fatiscenti. Ma c’è un altro strumento: l’aumento di capitale dell’Alto Calore SpA. Si indica un’assemblea straordinaria dei soci (i sindaci azionisti), si faccia partecipare un notaio e si deliberi un aumento di capitale con azioni riservate agli attuali azionisti, per scongiurare che qualche malintenzionato pensi di introdurre qualche grimaldello per far entrare i privati. Certo, i Comuni dovranno pagare, ma di fronte alla prolungata emergenza acqua, si deve attuare una politica di austerità: il denaro si può e si deve trovare! Non è da molto che l’indennità dei sindaci è stata aumentata e con essa, a cascata, quella dei vice sindaci, degli assessori, dei presidenti del Consiglio comunale e dei consiglieri. Per i sindaci che fanno del loro incarico un mestiere (e ciò non è edificante), si potrebbe tornare all’indennità precedente, quelli che invece continuano a svolgere il loro lavoro privato retribuito, potrebbero rinunciare alle loro indennità, così come i consiglieri comunali, al gettone di presenza. Abito ad Ariano Irpino, che dopo Avellino, è il primo azionista dell’Alto Calore e so che il sindaco percepisce un’indennità di 4.140 € mensili in quanto, non avendo un lavoro, non si è messo in aspettativa: perché non rinuncia almeno in parte alla sua indennità e così a seguire, tutti gli altri amministratori? Si facciano meno trasferte inutili a carico dei contribuenti, si disdettino i fitti passivi che i Comuni pagano ai privati, si riscuotano i fitti attivi di immobili, che spesso sono concessi in comodato d’uso gratuito per ragioni clientelari, si mettano in vendita le proprietà immobiliari dei Comuni non utilizzate a fini istituzionali, che potrebbero attivare un circuito virtuoso di investimenti, che creerebbe uno sviluppo economico. Si inizino a tagliare le spese effimere come i vari concerti che si propinano ai cittadini, credendo che si possa sostituire l’acqua con la musica. Si indicano appalti pubblici e si facciano pagare le penali alle imprese che non rispettano i contratti: quando c’è un’emergenza bisogna attuare una politica di austerità. Manca l’acqua nelle case e il Comune di Ariano Irpino ha appena concesso ben 190.000 euro a 14 associazioni: è una mancia elettorale?
Di fronte alla mancanza d’acqua, non ci sono scuse: ognuno dovrà fare la propria parte senza gravare ancora una volta sui cittadini. Si sono accorti i sindaci che i loro paesi si stanno spopolando? Se si vogliono rilanciare le zone interne dell’Irpinia non si può prescindere dai servizi essenziali, a partire proprio dall’acqua. Si intende che anche la Regione dovrà fare la propria parte: la sostituzione dei grandi tubi principali che spesso si rompono e dovrà dare un finanziamento straordinario all’Alto Calore.
I sindacati, dal canto loro, non si possono sterilmente abbarbicare nella difesa dei dipendenti dell’Alto Calore: devono promuovere una “VERTENZA ACQUA” per sconfiggere chi vede nella privatizzazione la soluzione di ogni problema. Privato non è sinonimo di efficienza, bensì un ulteriore strumento per sfruttare i lavoratori e spremere i cittadini con alte tariffe per l’acqua.
Aleandro Longhi Coordinatore Comitato SAT (Salute, Ambiente, Territorio)
Attualità
L’acqua non si vende, sit-in a Napoli il 27 agosto per l’acqua pubblica

Papa Francesco nella Laudato si ci insegna che: “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.” Il surriscaldamento del pianeta sta mettendo a serio rischio il diritto all’acqua a causa dell’abbassamento delle fonti. In Campania, come in tutto il sud Italia, la situazione è sempre più drammatica. Nel momento in cui le interruzioni del servizio idrico sono all’ordine del giorno, ci saremmo aspettati che la politica si impegnasse a garantire il rispetto del referendum del 2011 e tariffe agevolate per l’accesso all’acqua a tutta la popolazione. Ed invece incredibilmente l’Ente idrico Campano si riunisce in piena estate il 27.08.2025 per deliberare:
– la privatizzazione dell’acqua nella provincia di Caserta con una gestione mista pubblico/privato;
– l’aumento delle tariffe nei 126 comuni delle province di Avellino e Benevento serviti
da Alto Calore servizi.
La privatizzazione dell’ambito casertano fa parte del più ampio processo di svendita dell’acqua in tutta la Campania a favore di Acea. E inaccettabile che la regione con i bacini più ricchi del sud Italia diventi terra di conquista per le multinazionali che vogliono rivenderci la nostra acqua a peso d’oro. Siamo stanchi di ascoltare dalla politica la stessa favoletta: “non ci sono risorse per gestire l’acqua e per questo è inevitabile il ricorso ai privati”. Ma i soldi per le armi si trovano sempre mentre sono lasciati a secco settori vitali quali la sanità, la scuola ed il risanamento delle reti colabrodo. La risposta alla crisi idrica non è la privatizzazione, come dimostra l’ingresso dei privati in settori quali autostrade, elettricità, gas e telefonia che ha portato soltanto aumenti delle tariffe e disastrose gestioni.
Dall’altra parte è inaccettabile che a pagare i debiti di Alto Calore siano soltanto le famiglie già alle prese con grosse difficoltà economiche. Per questo chiediamo con forza il rispetto del concordato fallimentare per mettere in sicurezza l’Ente e garantire una gestione pubblica della risorsa, senza un indiscriminato aumento delle tariffe.
Il Sit-in si terrà il 27.08.2025 alle ore 15 a Napoli in via De Gasperi 28, davanti la sede dell’Ente Idrico Campano
Attualità
La Direzione strategica dell’Asl in visita alle strutture e agli ospedali di Sant’Angelo e Ariano

In un clima di grande collaborazione la Direzione Strategica ha avuto un confronto attivo con i direttori delle strutture sanitarie e ospedaliere, i medici e il personale sanitario e amministrativo con l’intento di avviare un dialogo funzionale all’individuazione e risoluzione delle criticità esistenti e al potenziamento dei servizi sanitari al cittadino sia a livello territoriale che ospedaliero. Dopo l’incontro di lunedì scorso con il personale della sede centrale di Avellino, il primo passo della Direzione strategica è stata la visita mercoledì dell’SPS di Bisaccia, del Distretto Sanitario e dell’Ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi, e oggi del Distretto Sanitario e Ospedale di Ariano Irpino per un saluto ai dipendenti.
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