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Top 10 dei musei più famosi su Instagram secondo Holidu

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Quale momento migliore dell’inverno con i suoi colori freddi e l’atmosfera mistica, per
riscoprire alcuni dei capolavori delle nostre belle città europee? Molte opere d’arte di
inestimabile valore sono racchiuse in musei, a volte a pochi passi da dove viviamo, a volte
sono la scusa perfetta per un weekend all’estero. Con un semplice scatto, si possono
portare questi capolavori sempre in tasca…per mostrare la foto perfetta agli amici su
Instagram, con un sacco di hashtag naturalmente!
Holidu, il motore di ricerca per case vacanza, ha deciso di stilare una lista dei musei più
famosi su Instagram, comparando la classifica del 2018 con l’anno appena passato, e per
ispirare tutti quei sognatori che amano l’arte e sono disposti a viaggiare per scattare la foto
perfetta.

1. Musei Vaticani, Roma: #388.110 hashtag
Al primo posto, per il secondo anno consecutivo,i musei Vaticani si aggiudicano la medaglia
d’oro, superando i 388mila hashtag. Questi musei ospitano una delle raccolte più grandi al
mondo e sono il risultato di collezioni di grandi papi nel corso dei secoli. I 7 km di gallerie
affrescate sono, inoltre, tra le più visitate di tutta la penisola e alcuni dei capolavori, tra
questi, il Giudizio Universale affrescato da Michelangelo, nella meravigliosa Cappella
Sistina. Rispetto all’anno scorso c’è stato un incremento del 29%
2. Galleria degli Uffizi, Firenze: #367.131 hashtag
Al secondo posto non poteva non esserci uno dei musei più famosi e importanti al mondo
con un totale di 367.131 hashtag: gli Uffizi. L’edificio, progettato dal Vasari, venne
inaugurato nel 1581. Famosi pittori dell’epoca si occuparono di affrescare le bellissime
stanze e, col passare del tempo, la collezione artistica si è arricchita notevolmente con
opere provenienti dal Medioevo fino all’età moderna. Tra i capolavori più amati, le bellissime
stanze del Botticelli. L’incremento di hashtag rispetto all’anno scorso è del 28%.

3. Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma: #149.825 hashtag
Al terzo posto si trova il Maxxi di Roma, che si aggiudica la medaglia di bronzo
collezionando quasi 150mila hashtag. I lavori di questo enorme edificio, dedicato alla pittura
e all’architettura del XXI sec., vennero affidati all’architetto Zaha Hadid. Il museo, inaugurato
nel 2010, oggi ospita innumerevoli opere di arte contemporanea di artisti italiani e
internazionali: tra questi, il sudafricano William Kentridge e gli italiani Maurizio Cattelan e
Alighiero Boetti. In questo caso c’è stato quasi un 20% in più di foto e hashtag nel 2019.
4. Palazzo Pitti, Firenze: #109.601 hashtag
Si torna a Firenze per il quarto posto dei musei più instagrammati, a Palazzo Pitti per
l’esattezza, che si aggiudica quasi 110mila hashtag. Questo edificio pieno di storia ha
ospitato ben tre dinastie e oggi dà spazio a quattro musei: il Tesoro dei Granduchi, la
Galleria Palatina e gli Appartamenti Reali ed Imperiali, la Galleria d’Arte Moderna e il Museo
della Moda e del Costume. Nella Galleria Palatina, è possibile ammirare capolavori di
Raffaello e Tiziano. Anche qui un incremento notevole del 24%.
4. Museo Ferrari, Maranello: #59.392 hashtag
I musei racchiudono opere d’arte di inestimabile valore, sia che si tratti di dipinti, sculture
o…automobili! Ebbene sì, per molti anche alcune auto possono essere considerate opere
d’arte a tutti gli effetti. Il Museo Ferrari, inaugurato nel 1998 a Maranello, si aggiudica, infatti,
un posto nella Top10, con quasi 60mila hashtag. I visitatori potranno scoprire i 90 anni di
storia del Cavallino Rampante e fotografare non solo auto, ma anche premi e documenti
d’epoca. L’incremento di hashtag anno per anno è stato del 25%, niente male vero?
5. Pinacoteca di Brera, Milano: #55.240 hashtag
Al quinto posto, vicinissima al Museo Ferrari, si trova la Pinacoteca di Brera, aperta al
pubblico nel 1776, che guadagna ben due posizioni in classifica, con l’incremento più alto
della Top 10: 31% di hashtag in più. Questa galleria, che raccoglie dipinti di epoche
diversissime tra loro, mostra alcuni degli esempi più importanti di pittura dell’Italia
settentrionale, e si aggiudica ben 55.240 hashtag. Tra i capolavori esposti: Il “Cristo morto”
di Andrea Mantegna, il “Quarto stato” di Pellizza da Volpedo e “Il bacio” di Francesco Hayez.
6. Galleria Borghese, Roma: #54.783 hashtag
Spodestata dal quinto posto, la lussuosa Galleria Borghese difende un dignitosissimo sesto
posto con quasi 55mila hashtag. La collezione di dipinti e sculture, unica al mondo,
specialmente per le opere esposte del Bernini e di Caravaggio, è stata iniziata da una ricca
famiglia di Siena, diventando nel tempo vastissima e piena di pezzi unici. I visitatori potranno
lasciarsi affascinare anche dalle decorazioni delle stanze e dai bellissimi giardini su cui
affaccia la villa, che meritano certamente un selfie!
7. Musei Capitolini, Roma: #49.421 hashtag
La struttura museale civica più importante di Roma, i Musei Capitolini, guadagna tre
posizioni rispetto all’anno scorso, con un incremento del 29% e un totale di più di 49mila
hashtag. Inaugurati nel 1734, i Musei Capitolini sono considerati il primo museo al mondo e
sono frutto di collezioni di molti papi, nel corso dei secoli. Tra i capolavori che si possono ammirare, c’è la statua equestre di Marco Aurelio, di cui una copia si trova nella piazza del
Campidoglio, e la Lupa Capitolina, risalente al V sec. a.C.
9. Museo del ‘900, Milano: #47.206 hashtag
Inaugurato nel 2010, il Museo del’900 di Milano nasce con lo scopo di “diffondere la
conoscenza dell’arte del Novecento”, come si può leggere sul sito ufficiale, e si aggiudica il
nono posto, perdendo qualche posizione rispetto all’anno precedente, ma portando a casa
più di 47mila hashtag. All’interno delle stanze è possibile ammirare dipinti di diverse correnti
artistiche, tra queste: le Avanguardie internazionali, il Futurismo e l’Arte Povera. Tra gli artisti
più importanti figurano Boccioni, Modigliani e De Chirico.
10. Museo Nazionale del Cinema, Torino: #46.293 hashtag
Il Museo Nazionale del Cinema di Torino, con più di 46mila hashtag, si aggiudica l’ultimo
posto nella Top 10 dei musei più popolari su Instagram, perdendo una posizione rispetto
all’anno scorso. Incorniciato della spettacolare Mole Antonelliana, simbolo di Torino, questo
museo è unico per la sua organizzazione espositiva a spirale e il percorso magico che viene
offerto a tutti gli amanti della settima arte. Inaugurato nel 2000, questo spazio espositivo
unisce divulgazione scientifica in un connubio interattivo unico.

Dalla 11esima alla 20esima posizione
Poco distante dalla Top 10 figurano altri bellissimi musei, sparsi in tutta la penisola.
All’undicesimo posto c’è, infatti, il Museo egizio di Torino, secondo solo a quello de Il Cairo,
con 20mila hashtag, seguito dal Museo archeologico nazionale di Napoli con più di 18mila
hashtag, con l’incremento più alto della Top 20 (51% rispetto all’anno scorso) e poco distanti
dal Museo nazionale di Capodimonte, quasi 16mila hashtag. Segue la Galleria Sabauda
di Torino, con quasi 15.400 hashtag e un incremento del 46% rispetto all’anno scorso,
seguita dal secondo museo automobilistico in classifica, il Museo Lamborghini, con quasi
15mila hashtag. Al 16esimo posto ci sono le Cappelle medicee di Firenze. Chiudono la Top
20 il Museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto, la Peggy Guggenheim
Collection di Venezia, il Museo delle Scienze di Trento e il Museo dell’Opera del Duomo
a Firenze.
La champions league europea: Parigi e Londra vincono ancora su tutti
Il Louvre di Parigi non ha rivali e si aggiudica nuovamente la medaglia d’oro europea con
ben 4.123.988 hashtag, seguito dal Tate Modern, con 1.051.776 hashtag, e l’Hermitage di
San Pietroburgo, che guadagna una posizione e si aggiudica la medaglia di bronzo con
675.282 hashtag. Al quarto posto il British Museum di Londra, seguito dal Rijksmuseum di
Amsterdam e dal Musée d’Orsay di Parigi. A seguire i Musei Vaticani e la Galleria degli
Uffizi a Firenze. Chiudono la Top 10 europea la Fondation Louis Vuitton e il Victoria and Albert Museum di Londra.https://www.holidu.it/

Attualità

Convegno ad Ariano: “Aequum Tuticum, Crocevia del Sud”

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Le associazioni Amici del Museo di Ariano Irpino, Circoli Culturali “Pasquale Ciccone” e “Arnanah”, con il patrocinio del Comune di Ariano Irpino, organizzano il convegno dal titolo “Aequum Tuticum, crocevia del Sud”, che si svolgerà venerdì 26 settembre 2025 alle ore 17.30 presso Villa Kristall ad Ariano Irpino. L’incontro si propone di approfondire, in una prospettiva scientifica, il ruolo strategico dell’antico sito di Aequum Tuticum quale snodo fondamentale della viabilità antica, evidenziando l’importanza storica e le prospettive di valorizzazione.

Saluti istituzionali:

Enrico Franza, Sindaco di Ariano Irpino

S. E. Mons. Sergio Melillo, Vescovo della Diocesi Ariano-Lacedonia

Relatori:

Ing. Gerardo Troncone – Presidente Gruppo Archeologico Irpino Sulle orme di Orazio. La viabilità del centro sud negli antichi itinerari

Prof. Giuseppe Ceraudo – Professore ordinario di topografia antica presso l’Università del Salento La Via Traiana in Irpinia: un Patrimonio per l’Umanità

Prof.ssa Veronica Ferrari – Professore associato di aerotopografia archeologica presso l’Università del Salento Aequum Tuticum, un vicus crocevia di strade: le attività di ricerca Unisalento

Prof. Giuseppe Camodeca – Già Professore ordinario di Storia Romana ed Epigrafia Latina presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” La documentazione epigrafica di Aequum Tuticum, vicus di Beneventum

Dott. Lorenzo Mancini – Funzionario archeologo della Soprintendenza ABAP Salerno e Avellino L’azione della SABAP SA-AV nel territorio di Ariano Irpino fra tutela, valorizzazione e pianificazione. Interventi e prospettive.

Moderatrice

D.ssa Ida Gennarelli, Archeologa già Ministero della Cultura Il convegno si inserisce in un percorso di ricerca e divulgazione volto a promuovere la conoscenza e la tutela del patrimonio storico-archeologico dell’Irpinia e dell’antico vicus di Aequum Tuticum, con l’intento di sollecitare le attività di recupero e di valorizzazione dell’attuale sito.

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Attualità

Occhi di aquila, mani di vento: le donne di miniera in Sardegna

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Roberto Carta, regista sardo, ha raccolto le testimonianze delle coraggiose donne che hanno lavorato in miniera: storie di progresso e di conquiste. Il documentario, nella rosa finalista dell’AIFF

“Nel 1938 lo sviluppo intensivo delle miniere carbonifere darà al fascismo il combustile per la guerra. Carbonia, capitale dell’oro nero nazionale, comincerà ad attrarre i disoccupati delle campagne”. Esordisce così il lungometraggio di Roberto Carta, dedicato al lavoro delle donne sarde nelle miniere, nella rosa dei finalisti alla tredicesima edizione dell’Ariano International Film Festival. Molte le crude testimonianze di donne che hanno lavorato in miniera o che raccontano indirettamente la vita delle loro madri o parenti strette. Anna Simbula, riferisce della madre, Delfina Dessì, nata a Santadi nel 1921 e morta appena prima di compiere cento anni. Delfina aveva lavorato nella miniera carbonifera di Carbonia, facendo la cernita senza mai fermarsi: non poteva, poiché con le altre formava una catena di montaggio. Viaggiava di notte sia all’andata che al ritorno, insieme ad altre cernitrici: tutte avevano paura, poiché c’erano i cacciatori e persino un bandito, del cui fucile vedevano il luccichio, nel tratto di strada che percorrevano. Così lo attraversavano di corsa, nel timore che potesse sparare anche a loro. Delfina, dormiva, come le sue colleghe, soltanto un paio d’ore, ma era una donna forte, che “non si piegava”. Una donna instancabile che, ricorda con orgoglio la figlia, dopo aver lavorato in miniera, continuava a farlo anche a casa. Era entrata a lavorare giovanissima, nel 1937 e ci era rimasta fino al 1951. È stata tra coloro che oltre al nome, hanno lasciato sui muri delle cave, anche l’impronta delle mani.                                                                                                                                                                      

Alla fine degli anni Trenta, nelle miniere del Sulcis erano occupate 254 donne, impiegate nei lavori di cernita o nelle laverie di Serbariu e Bacu Abis, altre lavoravano nei servizi, negli alberghi operai e nelle lavanderie. Doloretta Ledda racconta di aver lavorato prima in laveria, poi alla “noia”, un nastro adibito a trasportare i vagoni al piano superiore. Lavorava l’intera settimana in turni quotidiani dalle 8 alle 17, con un‘ora di stacco per il pranzo: aveva scelto di lavorare anche di domenica, dalle 7 alle 14. Genoveffa Valdarchi, aveva 28 anni e nonostante fosse madre di tre bambini, uno dei quali da allattare, copriva ben tre turni, come tutti gli altri operai. Il primo turno iniziava alle 7 di mattina con uscita alle 15; il secondo turno partiva alle 15 da Sirai, un quartiere di Carbonia un po’ distante, che raggiungeva a piedi, e terminava alle 22. L’ultimo turno era dalle 22 alle 7, ma per consentirle l’allattamento, le concedevano di uscire 2 ore prima. Ricorda delle sue paure di notte, quando da sola doveva percorrere le strade e si avvicinava a dei minatori, anche se sconosciuti, per superare lo sconforto. Faustina Piras racconta della possibilità di scegliere di rimanere più tempo in miniera poiché c’era molto lavoro. Lei in un mese, avendo lavorato “36 giornate”, aveva percepito 180 lire di stipendio, non certo una grande cifra, ma quanto le aveva consentito di iniziare ad acquistare il corredo che le serviva per sposarsi. Lavorare le piaceva, anche se non era un gioco: bisognava evitare di distrarsi a parlare ed escludere rapidamente le pietre dai nastri, altrimenti le avrebbero dovute togliere le ultime lavoranti, perché non scendessero con la parte buona del carbone. Iride Peis, insegnante elementare di Guspini (Sulcis-Iglesiente), si è appassionata alla storia mineraria del territorio fin da bambina, quando il nonno, fonditore, le parlava del suo lavoro nelle miniere di Montevecchio. Avendo sposato il medico della miniera, è stata ulteriormente facilitata nella conoscenza della materia, che a sua volta trasmette agli alunni. Nel 1855, l’ingegner Nicolay, direttore della miniera di Monteponi, racconta Iride, aveva visto le donne lavorare nei cortili delle case pulendo grano, fave e ceci e così, gli era venuta l’idea di portarle a lavorare in miniera a separare il minerale utile da quello sterile: “saranno più brave perché sono più attente e più svelte. Queste donne hanno occhi di aquila e mani di vento. Inoltre costeranno la metà degli uomini”. I cernitori (uomini) c’erano già, ma erano “il pidocchio in mezzo alla farina”, non sapevano muoversi bene, rispetto alle donne, – precisa Iride. “Sul salario, continua Iride, – si evidenzia la prima discriminazione, finché nel 1940 le cernitrici saranno sostituite dalle macchine. Le donne però cominceranno a farsi valere formando gruppi e associazioni, appoggiando proteste e scioperi dei loro familiari, anche per lunghi periodi, partecipando esse stesse in prima persona, resistendo alle pressioni”. Nadia Gallico Spano (ndr, tra le 21 donne elette nella Costituente, poi deputata del PCI) ricorda le lotte delle donne, operaie e contadine uccise nel rivendicare i propri diritti o per difendere quelli dei propri uomini. “Le donne sfidavano le violenze poliziesche, venivano persino arrestate e accettavano coraggiosamente anche lunghi periodi di sciopero, come quello di 72 giorni, in cui non ricevettero nessun salario e una popolazione di circa 52 mila persone, fu ridotta allo stremo”. Al convegno nazionale dell’UDI di Firenze del novembre 1948 la Spano comunicò della dura lotta in difesa delle miniere e della drammatica condizione delle famiglie di Carbonia prive di mezzi, ponendo l’accento sulla condizione femminile, che commosse le donne italiane. Grande combattente, Nadia Gallico Spano era amata e apprezzata nell’ambiente e a Carbonia in particolare, perché voleva donne indipendenti, coscienti della propria condizione e capaci di autogestirsi.                                                                                                                                                                   

 Roberto Carta, autore del documentario, che attualmente vive a Bologna, ma è affezionato alla sua terra, dove torna ogni volta che può, ci ha rivelato che l’idea di raccogliere le testimonianze femminili, gli è maturata a seguito dei racconti ascoltati da piccolo: i suoi nonni avevano lavorato in miniera e una sua zia, Albina, era morta a seguito di un incidente in miniera. Diversi erano stati gli uomini che avevano subito incidenti gravi in cui avevano perso gli arti o erano morti, ma lei è stata l’unica donna a perdere la vita: il suo vestito era rimasto impigliato in un rullo che l’aveva risucchiata. Non è stato facile realizzare il progetto, – ci ha raccontato – soprattutto per carenze di budget: da quando lo ha ideato a quando lo ha concluso, ambientandolo nei luoghi e nelle miniere in cui hanno lavorato le donne, sono passati due anni. Per la sua rilevanza sociale, ha ottenuto il contributo della Regione Sardegna.                                                                                                                                                                                      

Ancora il regista: “Come testimoniano nel documentario, le donne rimpiangono ancora il lavoro in miniera: erano contente di farlo, socializzavano, cantavano, e soprattutto, erano autonome, non erano costrette a stare a casa, come invece accadeva una volta sposate. Con il lavoro in miniera, avevano raggiunto la loro indipendenza, smarcandosi dal predominio maschile. Non lavoravano in condizioni facili, venivano pagate pochissimo, ma il loro sacrificio è servito ad aprire la strada alle altre donne”. Un documentario da vedere e diffondere: tra il pubblico, i giovani, nelle scuole, per comprendere quali sacrifici siano state capaci di fare le donne coraggiose che ci hanno preceduto per consentirci quelle conquiste che oggi troppo spesso si danno per scontate e di cui nella maggior parte dei casi non si conoscono le origini. Un percorso di emancipazione pagato a caro prezzo, per consentirci la libertà di scegliere.

Breve biografia di Roberto Carta                                                                                                                                                                                   

Roberto Carta, nato nel 1976 a Carbonia (SU), si è laureato al Dams di Bologna, indirizzo cinema. Dal 2004 al 2008 è stato aiuto regista nei lungometraggi, “Il vento fa il suo giro” e “L’uomo che verrà”, entrambi diretti da Giorgio Diritti (ndr, regista di: Volevo nascondermi, sulla vita di Ligabue, magistralmente interpretato da Elio Germano). È stato redattore per la trasmissione televisiva di Carlo Lucarelli (10 puntate) “Milonga Station”, in onda su Rai Tre.                                                                                              

Nel 2014 ha sceneggiato e diretto “Sinuaria”, cortometraggio ambientato nell’isola dell’Asinara, selezionato in numerosi festival cinematografici, e vincitore di 18 premi, tra cui la nomination ai David di Donatello 2015. Nel 2017 il regista ha diretto e montato: il corto – documentario, “Custodi del proprio territorio”, prodotto dall’ISMEA e il videoclip “Michimaus”, della cantante e attrice Angela Baraldi. Nel 2020 ha realizzato il cortometraggio “Lasciami andare” (ndr, sul banditismo sardo), ambientato nella Sardegna barbaricina, prodotto col sostegno della Regione Sardegna.                                                                                                                                                  

 “Donne di miniera” (2023), è il suo primo documentario: prodotto da Mario Pezzi, ha una durata di 55 minuti. Le musiche sono di Stefano Tore su tema di Maria Teresa Cau, montaggio di Erika Manoni.

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Attualità

I^ Edizione del premio Teatrale Città di Ariano Irpino

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8-9-10 Settembre 2025 | Camporeale (Ariano Irpino)

Ariano Irpino apre il sipario a una nuova avventura teatrale: nasce la I^ edizione del PREMIO TEATRALE CITTÀ DI ARIANO IRPINO, un progetto nazionale che punta a valorizzare giovani autori, compagnie emergenti e nuove drammaturgie.
Tre serate all’insegna della comicità, delle emozioni e della passione scenica, in una cornice suggestiva e unica: l’anfiteatro di Camporeale, già reso magico dal celebreevento Sunny Sunday. L’evento rientra nel programmadell’Estate Arianese 2025 ed è realizzato con il patrociniodel Comune di Ariano Irpino.

PROGRAMMA SPETTACOLI

8 SETTEMBRE ore 20:30
ARAPE ‘E ZITTO – Compagnia Maschere Nude
Regia di Ernesto Sasso

Una commedia romantica e travolgente ambientata in un attico al Vomero, tra tradimenti, incomprensioni ed equivoci. Risate, riflessioni e lacrime in un mix perfetto di emozioni che accompagneranno lo spettatore dalla prima all’ultima battuta.
Perché quando non funziona il citofono… Arape ‘e zitto!

Cast: Antonio Barbato, Veronica D’Alessio, Francesco Saverio Tisi, Maria Rosaria Escolino, Antimo Escolino, Sarah Ricci, Saira Pantalone

9 SETTEMBRE ore 20:30
ANDY & NORMAN – Produzione Yggdrasill APS
Regia di Alessandro Pagliaro
Con Francesco Castagnozzi, Alessandro Pagliaro, AngelitaCiccone e Rocco Vigliotta

Un grande classico della comicità americana, riproposto con una regia attuale e vivace. Due amici inseparabili, una donna che irrompe nelle loro vite e una serie infinita di situazioni comiche ed equivoci, tra amicizia, amore e illusioni.

10 SETTEMBRE ore 20:30
DUE DI TROPPO – Compagnia Gli Attori per Caso
Con Luca Landi e Antonio Tortora

Un duetto comico irresistibile, dove battute, contrasti e situazioni paradossali trascinano il pubblico in un vortice di risate. Una chiusura spumeggiante e brillante per questa prima edizione del Premio Teatrale.

UNO SGUARDO AL FUTURO

A partire da settembre 2025 sarà attiva la finestra di iscrizione alla 2^ edizione del Premio Teatrale Città di Ariano Irpino, aperta a tutte le compagnie amatoriali sul territorio nazionale.
La nuova rassegna si terrà a settembre 2026.

Tutte le info, il programma completo e le modalità di partecipazione saranno disponibili sul sito ufficiale: www.yggdrasill.info

Location: Camporeale – Ariano Irpino (AV)
Date: 8-9-10 Settembre 2025
Orario spettacoli: 20:30

Ariano Irpino riscopre il teatro… e lo fa in grande!

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