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Pane e libertà. La storia di Giuseppe Di Vittorio. Questa sera, da non perdere

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Sindacalista, politico e antifascista, è stato fra i più autorevoli esponenti del sindacato italiano del secondo dopoguerra, padre della CGIL, combattente per la giustizia sociale e la questione meridionale.

Giuseppe Di Vittorio nasce a Cerignola il 13 agosto del 1892 (in realtà l’11 agosto, dichiarato all’anagrafe il 13), da braccianti agricoli. La madre è Rosa Errico, il padre Michele, è un curatolo (lavoratore dei campi) che muore nel 1902, per una malattia contratta col suo lavoro. Giuseppe è costretto ad abbandonare la scuola elementare, per lavorare a sua volta nei campi. Nel maggio del 1904, partecipa a una manifestazione di lavoratori agricoli, in cui interviene la polizia e rimangono uccisi 4 lavoratori, tra cui un suo amico quattordicenne, Antonio Morra. Nel 1910 diventa Segretario del circolo giovanile socialista di Cerignola, che si chiamerà “XIV maggio 1904”, per ricordare quell’eccidio: il circolo si stacca dal PSI e aderisce alla Federazione di Parma della gioventù socialista. Nel 1913 diventa Segretario della Camera del Lavoro di Minervino Murge, mentre l’influenza del sindacalismo rivoluzionario, si sviluppa in vari centri della Capitanata e della provincia di Bari. Nel 1914, ricercato dalla polizia in seguito ai fatti della “settimana rossa”, ripara a Lugano, dove contatta molti fuoriusciti italiani e ne approfitta per studiare in quello che ricorderà, come il suo “liceo”. Nel 1915 è richiamato in guerra e, dopo aver partecipato a parecchie azioni, rimane ferito. Per il suo passato di “sovversivo”, dopo un lungo peregrinare, viene inviato in Libia. Rientrerà in Italia tra gli ultimi, nell’agosto del 1919. Il 31 dicembre sposa Carolina Morra, da cui avrà Baldina, che nasce a Cerignola il 6 ottobre 1920, e Vindice, che nasce a Bari il 21 ottobre 1922. Nel 1921, Di Vittorio in circostanze eccezionali, viene eletto deputato, mentre è detenuto nelle carceri di Lucera, dopo l’arresto per uno sciopero regionale antifascista. Il fascismo dilaga con spietata violenza, in molti centri pugliesi considerati le roccaforti del movimento socialista e, soprattutto, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Queste fanno capo, in parte, alla CGdL, di orientamento socialista, e in misura consistente (Cerignola, Minervino, Corato, Bari) all’Unione sindacale italiana, di cui Di Vittorio è il maggiore esponente. La resistenza al fascismo in Puglia era molto forte e Di Vittorio ne era uno degli animatori. Nel 1921, durante la campagna elettorale, i fascisti provocano una strage a Cerignola in cui rimarranno uccisi 9 lavoratori. Nonostante il clima di violenza e intimidazione, Di Vittorio viene eletto. Per tutto il 1921 e fino ai primi mesi del 1923, la sua attenzione è rivolta alla situazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni in Puglia, sottoposta a un’opera di logoramento. Egli stesso è bandito dalla sua città, dai fascisti di Cerignola. Ma è a Bari che mette a profitto la sua esperienza, nella Camera del Lavoro, in occasione dello sciopero nazionale, detto “legalitario”, dell’estate 1922, proclamato in tutta Italia per la fine delle violenze fasciste e il ritorno al rispetto della legge. Indetto dall’Alleanza nazionale del lavoro, lo sciopero fu u’amara sconfitta. Sul finire del 1922, per Di Vittorio non è più possibile vivere in Puglia, così si trasferisce a Roma. Nel 1924 incontra Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, che lo porta ad aderire al Partito Comunista. Insieme a Ruggiero Grieco, dirigente comunista pugliese, getta le basi di un’organizzazione autonoma dei contadini italiani, anzitutto nelle regioni meridionali, in un clima di semilegalità, che ai primi di novembre del 1926, diventerà illegalità piena. Fra il 1928 e il 1930, Di Vittorio è in URSS, rappresentante del Pcd’I presso l’Internazionale Contadina. Nel 1930 va a Parigi nel gruppo dirigente del PCI e diventa responsabile della CGIL clandestina. Nella primavera del 1935, muore sua moglie. Nel 1936 accorre in Spagna ad Albacete, per partecipare all’organizzazione delle Brigate Internazionali con Luigi Longo e Andrè Marty. Nel 1939 dirige il quotidiano antifascista “La voce degli italiani”. Il 10 febbraio 1941 viene arrestato a Parigi dai tedeschi. Assieme a Bruno Buozzi e Guido Miglioli, viene consegnato alle autorità italiane, che lo condannano a 5 anni di confino, sull’isola di Ventotene. Nel 1943 viene liberato e partecipa alla lotta di Liberazione. Firmatario del Patto di unità sindacale di Roma del 1944, con Achille Grandi per i democristiani e Emilio Canevari per i socialisti, diviene Segretario generale della Cgil unitaria e, dopo la scissione, della Cgil, fino alla sua morte. Nel 1946 viene eletto deputato dell’Assemblea Costituente per il PCI.
Nel 1949 elabora il Piano per il lavoro, nel 1953 viene eletto presidente della FSM (Federazione Sindacale Mondiale).
Pur avendo aderito agli ideali comunisti, Di Vittorio rimase autonomo, tanto che nel 1956 condannò la feroce repressione sovietica in Ungheria. Punti fermi del pensiero e nell’azione di Di Vittorio, furono l’affermazione del valore sociale e culturale del lavoro, il rifiuto della violenza nelle lotte di massa e nell’azione del movimento sindacale, l’unità di tutti i lavoratori, nonché l’autonomia, la democrazia e l’unità del sindacato. La CGIL doveva restare plurale e apartitica, senza venir meno alla sua naturale vocazione politica, centrata sulla difesa e lo sviluppo della democrazia e della Costituzione repubblicana, che fondava i suoi valori cardini, nella solidarietà e nei diritti. Questa sera su Rai Uno (ore 21,25) Pane e libertà, la fiction dedicata a Giuseppe Di Vittorio. Attore protagonista, Pierfrancesco Favino, regia di Alberto Negrin, musiche di Ennio Morricone.

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Direttivo provinciale di Forza Italia allargato a sindaci ed amministratori

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Sì è tenuta ieri sera all’Hotel Belsito di Avellino la riunione del direttivo provinciale di Forza Italia, allargata a sindaci ed amministratori.  

Un confronto lungo e articolato dal quale è innanzitutto emerso unanime e convinto sostegno alla candidatura del vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, alla presidenza della Regione Campania per la coalizione di centrodestra.

In primo luogo nelle parole del Segretario provinciale, Angelo Antonio D’Agostino, il convincimento che Forza Italia, in Irpinia come nel resto della regione, sarà il traino della coalizione risultando determinante per una vittoria che va costruita al centro, recuperando voto moderato.

La missione di Forza Italia, casa del popolarismo, è questa. Una missione alla portata, alla luce del grande lavoro di radicamento fatto in questi anni e degli enormi spazi che la candidatura di Roberto Fico per il centrosinistra, lascia sguarniti proprio nell’elettorato centrista. Forza Italia può e deve colmare quello spazio.

Venendo alla costruzione della lista, nel corso della discussione sono emerse molte disponibilità dai territori.  Profili diversi che nei giorni a venire saranno valutate nella massima condivisione, perché l’obiettivo di tutti deve essere quello di mettere in campo la migliore compagine possibile, connubio tra competenze e radicamento.

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Cisal, Picone: più attenzione a sicurezza dei lavoratori, anche in Irpinia troppi incidenti

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“Occorrono interventi concreti per garantire la sicurezza; le buone intenzioni o gli slogan non servono. Gli infortuni sul lavoro sono e restano una intollerabile emergenza, in Irpinia e Campania, come nel resto del Paese”. Ad affermarlo è Massimo Picone, coordinatore provinciale della Cisal di Avellino e commissario della categoria Metalmeccanici.

“I dati ufficiali – prosegue il dirigente sindacale – ci dicono che il fenomeno è in crescita al Sud, che registra il più alto tasso di incidenti mortali sui luoghi di lavoro. Ma in generale aumentano infortuni e decessi in itinere, nel percorso casa-luogo di lavoro. Una tendenza che si avvertiva già negli ultimi anni. Nei primi otto mesi del 2025 l’incremento è stato dell’8,8 %, 186 vittime, soprattutto del comparto industriale e dei servizi, 15 in più rispetto al 2024 e più o meno un quarto dei decessi complessivi.

Su questo versante ad incidere sono l’espansione dei bacini di pendolarità, l’aumento delle distanze tra abitazione e luogo di lavoro, la debolezza del trasporto pubblico e il conseguente uso del mezzo privato, tutti elementi che accrescono l’esposizione al rischio.  

In aumento anche le malattie professionali, quasi del 10%, rispetto all’anno precedente.

La sicurezza viene considerata purtroppo ancora soltanto un optional, all’interno di un quadro complessivo deprimente: precarietà, i salari più bassi d’Europa, l’uso sistematico di esternalizzazione del lavoro, crisi profonda di alcuni comparti come l’automotive, che in Irpinia costituisce una filiera produttiva importante per l’economia e per l’occupazione, ma su cui pendono molti problemi che ne compromettono la prospettiva”.

“E’ necessario pertanto – conclude Picone – che si investano più risorse sui controlli, aumentando il numero di ispettori che operano sul territorio, ma vanno modificati anche i processi produttivi. C’è bisogno inoltre che le politiche di sicurezza aziendale si integrino con misure di prevenzione estese agli spostamenti dei lavoratori, promuovendo iniziative coordinate in materia di mobilità sostenibile, riorganizzazione dei tempi di lavoro e rafforzamento delle infrastrutture di trasporto”.

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La disumanità dei governi imbelli

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È caduto il velo delle menzogne, la Flotilla mette a nudo la disumanità dei governi imbelli, interessati a mantenere attivo e florido il mercato delle armi, riconvertendo quello delle automotive, in grave crisi in Europa. La Meloni aveva criticato l’azione della Global Sumud Flotilla reputandola inopportuna e affermava: “è una fase nella quale tutti quanti dovrebbero capire che esercitare una responsabilità, attendere mentre c’è un negoziato di pace, è forse la cosa più utile che si può fare per alleviare le sofferenze dei palestinesi” e riferendosi alla Flotilla, proseguiva e rincarava la mano: “ma forse le sofferenze del popolo palestinese non erano la priorità” (Ansa e L’Espresso1 ottobre 2025).

Eppure, nei confronti di Israele, la Meloni non esprime alcuno sdegno diversamente manifestato per la Flotilla. Dimentica che era un’azione umanitaria, svolta da persone di diversa nazionalità, disarmate, indirizzata a creare un corridoio sicuro al fine di alleviare le sofferenze del popolo Palestinesedovute alla mancanza di cibo e di medicinali,provocate dalla disumanità del governo genocidario di Israele. Nulla potrà rimanere come prima, la Flotilla ha avuto il merito di aver attirato l’attenzione mediatica su ciò che accade a Gaza e sulla pulizia etnica operata da Israele. Atto esecrabile e frutto avvelenato che affonda le sue radici nel lontano 1948, costellato di odio e morte che avvelena l’esistenza degli israeliani e dei palestinesi, senza soluzione di continuità e senza una via d’uscita. Sin ad oggi, l’UE, gli USA, la Comunità Internazionale non sono riusciti a proporre una pacifica ed unitaria soluzione al tema dei due Stati e dei due popoli. Le immagini di Gaza distrutta, delle donne che piangono i bambini morti per fame o colpiti dalle bombe, hanno ferito la carne viva di milioni di persone chespontaneamente sono scese in piazza gridando lo slogan: “blocchiamo tutto”. Spero che, tutto ciò indurrà i singoli governi e la Comunità Internazionale a rimettere al centro dell’agenda politica il bene comune, oscurato dai ciechi nazionalismi e dalla ricerca del benessere personaleedonistico. I popoli hanno indicato la strada: si dia voce e speranza al senso di umanità, si dia voce e dignità ai popoli del Sud del mondo.

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