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PIERNICOLA PEDICINI Capo delegazione del M5s al Parlamento europeo:”Ecco cosa dice il referendum”.

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IL REFERENDUM DICE QUATTRO COSE: 15 MILIONI DI ITALIANI VOGLIONO PARTECIPARE E NON VOGLIONO LE TRIVELLE IN MARE; I LUCANI BOCCIANO IL PETROLIO E SOSTENGONO L’INCHIESTA DELLA MAGISTRATURA

15 milioni di italiani alle urne per affermare il diritto di partecipare e decidere. 13 milioni che hanno detto Sì al blocco delle trivelle in mare. La Basilicata che con il suo straordinario 50,16 per cento di votanti ha bocciato le estrazioni petrolifere nel suo territorio.

Non si è raggiunto il quorum, ma i numeri veri sono questi e danno delle indicazioni politiche molto precise a Renzi, alle lobby del petrolio e al governatore lucano Pittella.

La questione quorum è solo un fatto tecnico. Com’è noto, il Movimento 5 Stelle da sempre si batte per l’abolizione del quorum nei referendum, perché ritiene che chi si informa e partecipa conta e decide anche per gli altri. Dunque, Renzi e la stampa amica la smettano di dire che hanno vinto.

Inoltre, il presidente del Consiglio eviti di prendere in giro gli italiani sostenendo che sta attuando politiche innovative a favore delle rinnovabili, mentre di fatto, con la legge Sblocca Italia e le scelte energetiche nazionali, ha previsto di raddoppiare le estrazioni petrolifere.

La scelta di chi ha votato, che raggiunge numericamente la maggioranza degli italiani che tendenzialmente partecipano ai referendum e supera gli 11 milioni di voti che il Pd di Renzi ha preso alle Europee, è chiara: sì a mari puliti, energie rinnovabili, efficienza energetica e turismo sostenibile! E’ un indirizzo programmatico dal quale nessuno può più transigere.

Il M5S ha già elaborato un piano energetico nazionale frutto di un anno e mezzo di lavoro con esperti e confronti ed è pronto a dimostrare che con le tecnologie oggi disponibili è già possibile cambiare il Paese e liberarlo in pochi anni da carbone e inceneritori ed arrivare al 2050 senza petrolio.

Va aggiunto che questo referendum è stata una grande prova di democrazia per almeno quattro importanti motivi: perché l’impegno e le proteste di migliaia di cittadini hanno spinto nove regioni a chiederlo; perchè si è parlato di petrolio e di energia come non si era mai fatto in Italia; perché chi non sapeva che si estraesse petrolio nei nostri mari è stato informato; perché un tema così specifico è diventato argomento di discussione di milioni di cittadini che ora saranno più attenti e sensibili su queste tematiche.

C’è poi il messaggio chiaro e netto che è arrivato dalla Basilicata. La stragrande maggioranza dei lucani ha bocciato le trivelle volute da Renzi, Bubbico, De Filippo e Pittella e vuole la tutela dell’ambiente, il rispetto della salute pubblica e nuove politiche che valorizzino l’agricoltura, l’acqua, il mare e il turismo. Esattamente l’opposto di quello che è stato imposto negli ultimi venti anni dalla vecchia politica.

In più, i lucani hanno sottolineato il convinto sostegno all’inchiesta in corso della magistratura potentina che sta scoperchiando lo scandalo Trivellopoli. Tutti ingredienti, che dovrebbero spingere la giunta Pittella a dimettersi immediatamente così come ha chiesto nei giorni scorsi il M5s.

Infine, sul piano nazionale, resta il rammarico che, per la prima volta nella storia, un presidente del Consiglio in carica e un ex presidente della Repubblica hanno invitato a non andare a votare e che gran parte dei media hanno informato poco e male, con trasmissioni ambigue e fuorvianti che annunciavano che si votava solo in nove regioni, che c’erano migliaia di posti di lavoro a rischio, oppure quella che si sono sprecati 300 milioni di euro, quando è stato il Governo a non volere l’accorpamento con le elezioni amministrative, proprio per evitare di raggiungere il quorum.

A questi signori, va ricordato che ai referendum degli ultimi anni il massimo della partecipazione ha raggiunto il 54 per cento dei votanti, quindi anche se l’affluenza alle urne avesse raggiunto tale soglia, i Sì al blocco delle trivelle, che rappresenta il 96 per cento, avrebbe prevalso ampiamente.

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Villa bunker confiscata al Clan Cava, firmato il contratto di appalto.  A breve i lavori per realizzare un centro antiviolenza per le donne

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Il presidente Buonopane: “Sarà un presidio di legalità”

È stato sottoscritto questa mattina e registrato presso l’Agenzia delle Entrate il contratto di appalto stipulato dalla Provincia con la società “Vivenzio Costruzioni srl” con rogazione del segretario generale, Brunella Asfaldo, per i lavori relativi all’“Intervento per la valorizzazione del bene confiscato sito a Pago Vallo Lauro” per un importo di 1.567.328,74 oltre Iva.

A breve, dunque, sarà avviato il cantiere.

Messi addietro, il presidente della Provincia, Rizieri Buonopane, aveva approvato con proprio provvedimento il progetto definitivo relativo alla realizzazione nell’ex villa bunker confiscata al Clan Cava di un Centro antiviolenza per le donne e casa rifugio.

Con lo stesso provvedimento aveva candidato il progetto all’Avviso pubblico per la presentazione di proposte d’intervento per la selezione di progetti di valorizzazione di beni confiscati da finanziare nell’ambito del PNRR, Missione 5- Inclusione e coesione- Componente 3- Interventi speciali per la coesione territoriale- Investimento 2- Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie finanziato dall’Unione europea- Next Generation EU, e aveva approvato il protocollo d’intesa con il Comune di Pago Vallo Lauro e il Consorzio Servizi Sociali Vallo di Lauro Baianese Ambito 6.

La Provincia ha poi ottenuto un finanziamento nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per coprire l’investimento.

“Con questo progetto – dichiara il presidente della Provincia, Rizieri Buonopane – restituiamo alle comunità del Vallo Lauro e dell’intera Irpinia un immobile sottratto alla criminalità organizzata. In quell’edificio sorgerà un presidio di legalità, dove le donne vittime di violenze potranno fare partire il proprio riscatto. Fondamentale è stato il supporto della Prefettura che sta accompagnando la Provincia lungo l’intero percorso verso il traguardo della realizzazione di tale progetto. È questa l’occasione per ringraziare ancora una volta il prefetto, Paola Spena”.

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Morti sul lavoro – Antonio Bianco: “Ripristinare il Sistema Sanitario Nazionale”

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I sindacati scioperano, il 20 aprile a Roma la CGIL e la UIL, non partecipa la CISL, portano in piazza i temi della sanità incapace di dare risposte concrete e rapide ai pazienti e delle morti sul lavoro. Le liste di attesa sono un dramma nazionale, ancor più acuto nel Meridione, con posti letto insufficienti e personale carente che è costretto a subire turni inaccettabili, anche di 12 ore al giorno, perfino nel pronto soccorso. In Italia almeno 5 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi, con il passaggio della gestione della Sanità da Nazionale a quella Regionale, sono diventate inaccettabili le disparità di assistenza e cura di identiche patologie legate alle risorse finanziarie che impongono ai residenti nelle regioni più povere del Meridione di migrare verso il Nord per curarsi. L’uguaglianza dei cittadini e la loro salute non sono diritti fondamentali dell’individuo (articoli 3 e 32 della Costituzione) ma legati alla residenza che contrassegna la possibilità di avere cure garantite in tempi accettabili. 

Sia l’uguaglianza dei cittadini che le cure gratuite per gli indigenti, sono un mero sogno. In Italia, secondo le stime dell’ISTAT, non meno di 5,7 milioni di cittadini, pari all’8,5% delle famiglie residenti nel 2023, sono in condizioni di povertà assoluta, persone alle quali la cura e l’assistenza sanitaria non è garantita, né mai erogata. I sindacati confederali scendono in piazza anche per denunciare, per l’ennesima volta, la barbarie delle morti sul lavoro. Gli ultimi episodi mostrano quanta strada deve essere fatta sulla prevenzione e sul controllo nei cantieri. Secondo il sindacato deve essere eliminato il sub appalto del sub appalto che scarica la riduzione dell’importo appaltato sulla sicurezza e sul salario del lavoratore, costretto a subire condizioni pericolose per la propria salute pur di mettere il piatto a tavola. Né vi è stato il confronto con il governo sul rinnovo dei contratti e sulla riduzione del potere di acquisto dei salari causato dall’inflazione. Secondo il sindacato, le risorse finanziarie potrebbero essere trovate tassando gli extra profitti delle banche, del settore farmaceutico e di quello energetico. Le chiacchiere stanno a zero: le liste di attesa si allungano e prosegue la strage dei morti sul lavoro. Non possiamo rimanere con le mani in tasca a guardare gli eventi, occorre una crociata per rendere civile il nostro paese, non possiamo essere complici della politica che non considera tutti gli individui “Fratelli d’Italia”.

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Antonio Bianco:”Occorre la crociata contro le morti bianche sul lavoro”

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nessun governo ha posto il freno al massimo profitto ed ai sub appalti, costi quel che costi, inclusa la vita dei lavoratori. Eppure ci sono fiumi di leggi, pezzi di carta straccia bruciata sull’altare dell’egoismo e della competizione che risparmia sui salari pur di rimanere sul mercato che cannibalizza le imprese in regola, costrette a chiudere i battenti. La strage della centrale elettrica di Suviana, seguiranno le commemorazioni di stato, le frasi di rito, qualche lacrimuccia e poi, speriamo di no!, in attesa del nuovo lutto. In Italia ogni anno perdono la vita più di 1000 persone sul posto di lavoro, con migliaia di lavoratori infortunati che vanno ad ingrossare la schiera di invalidi civili che sono presi in carico dall’INPS. Costi che si riversano sul sistema pensionistico e su quello sanitario, incapace di garantire la presa in carico totale dell’infortunato e della sua famiglia. Non si può andare a lavorare e ritornare a sera in una bara con le commemorazioni di Stato. Occorre una crociata contro questa strage, diversamente siamo simili a Ponzio Pilato che, si lava le mani e gira lo sguardo da un’altra parte.

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